La chiesa di San Rocco
Da "il centro" n. 50 - ottobre/dicembre 1996 - pagg. 19/20 - M. Faccini
Da "il centro" n. 31 - gennaio/aprile 1990 - pagg. 14/15 - A. Prandoni
Da "il centro" n. 68 - ottobre/dicembre 2003 - pagg. 25/26 - F. Piacentini
Da "il centro" n. 43 - luglio/settembre 1993 - pag. 22 - A. Prandoni
Da "il centro" n. 31 - gennaio/aprile 1990 - pagg. 14/15 - A. Prandoni
Da "il centro" n. 68 - ottobre/dicembre 2003 - pagg. 25/26 - F. Piacentini
Da "il centro" n. 43 - luglio/settembre 1993 - pag. 22 - A. Prandoni
L'organizzazione medievale, per la quale il potere ecclesiastico era l'unica influenza determinante sul territorio, vedeva il diffondersi di conventi e confraternite; quella degli Umiliati era sicuramente la più legata al territorio varesino e ciò permette di ipotizzare l'esistenza di un suo convento o nucleo a Samarate, di cui apparentemente non rimane traccia.
Non abbiamo alcuna prova certa dell’origine medievale della chiesa e discordanti sono inoltre le caratteristiche dell'attuale edificio rispetto alla struttura-tipo di questi Oratori; questo non ci porta ad escludere che il sito avesse comunque una notevole importanza dal punto di vista sacrale. I resoconti delle visite di S. Carlo Borromeo riportano notizie più dettagliate sulla chiesa e su Samarate in epoca spagnola. Negli Atti del 1569 si fa riferimento all'edificio, costruito tempore pestilentiae a spese della scuola di Samarate; il 1477, 1485 e 1528 furono anni di grandi pestilenze e probabili date di fondazione della chiesa dedicata a S. Rocco, guaritore degli appestati. Le prime notizie sicure di ampliamento risalgono al 1684, quando nella chiesa venne costituita la confraternita dei Disciplini, mentre il 1711, data scolpita sulla pietra posta all’angolo nord, dovrebbe essere l'anno in cui vennero terminati i lavori. A partire da allora, la fabbrica riporta testimonianze di interventi di completamento ed abbellimento, minuziosamente riportati nel Chronico di don Civati, unico documento parrocchiale dell’epoca; si susseguirono però anni di abbandono e di grandi vicissitudini che colpirono la chiesa sino alla fine del secondo conflitto mondiale. |
L'edificio è classificato come "Monumento nazionale", quindi sottoposto a tutela dai competenti organi statali ai sensi della Legge del '39.
Va ricordato che la chiesa sorse, e non a caso, proprio in fregio ad un percorso che già in passato era una importante via di traffico da nord a sud, in tempi recenti si chiamava ancora "Strada vecchia per Castano", ed assolveva al ruolo che oggi è tenuto dalla Strada Statale 341.
La posizione centrale, in corrispondenza di un nodo stradale, attribuisce alla chiesa il ruolo di fulcro prospettico di tutti e quattro i percorsi che su di essa convergono e, specie per via San Rocco, non occorre molto sforzo per riconoscere che la facciata monumentale che ne conclude la prospettiva sia un elemento degno e qualificante che arricchisce e valorizza tutto lo spazio urbano circostante.
Un altro valore, anch’esso riconoscibile senza sforzo, è la qualità architettonica che la chiesa esprime. Non si tratta infatti di uno dei tanti anonimi oratori campestri che la pietà popolare ha sparso per ogni dove nel territorio lombardo tra '600 e '700 e che sono caratterizzati da una estrema semplicità costruttiva e dalla pochezza architettonica (anche se pur ricca di fede ed umana poesia!) proprie del mondo contadino di un tempo. Qui siamo di fronte ad una costruzione che rivela una intenzionalità della committenza verso un certo grado di rappresentatività monumentale ed un impegno progettuale orientato ad un corrispondente grado di elaborazione formale. Tale intenzionalità si esprime anzitutto nella preminenza data alla facciata, strutturata su due ordini architettonici sovrapposti: due coppie di paraste binate ne sottolineano lo slancio verticale e sostengono modanature in cotto orizzontali di cui quella superiore è finemente profilata.
Il fronte ricurvo, alla sommità della facciata, marcatamente forte e sporgente, aggiunge un effetto di imponenza. Lo stesso motivo del frontone è riecheggiato nei piccoli timpani di uguale forma posti sopra le nicchie che serrano, forse un po' troppo dappresso, il semplice portale in pietra dell'ingresso.
Infine va notata la elaborazione decorativa profusa nella finestra di facciata i cui contorni si raccordano con volute alla cornice del primo ordine, mentre la sommità è definita da un elegante timpano i cui lati spezzati richiamano anch'essi il motivo delle volute.
Pur realizzata con materiale povero - il cotto - il trattamento delle membrature architettoniche è raffinato e pur trattandosi di risalti plastici non certo ridondanti, quando la luce solare ne accentua il rilevo se ne apprezza il gioco di effetti chiaroscurali ulteriormente animato dalla stessa pregnanza metrica delle superfici murarie al rustico in cui sono ancora incavate le buche pontaie lasciate dagli antichi costruttori secondo l'uso dell'epoca.
Nei corpi laterali, arretrati rispetto alla facciata, qualche lieve risalto ricavato sulle murature stabilisce una calibrata ripartizione delle superfici e, riecheggiando sia pure in termini minimali i motivi della facciata, raccordano in un certo senso quest'ultima al blocco centrale.
Come è tipico delle chiese costruite dopo il periodo della Controriforma e fino all'epoca del nostro San Rocco, tutte in qualche modo ispirate da una certa aderenza al trattato "Instructiones fabricae et supellectilis ecclesiasticae" di San Carlo Borromeo, le altre parti dell'edificio sono minimamente decorate (nel nostro caso solo un sottile fregio ad ovuli in corrispondenza del perimetro di gronda per tutto lo sviluppo esterno del muro del coro absidato), ma la sobrietà e politezza formale delle superfici nulla tolgono ad un involucro architettonico che aderisce alla essenzialità e chiarezza dell'impianto planimetrico. Esso è già di per se ricco di movimento e di effetti chiaroscurali grazie all'andamento dinamicamente articolato e fluente della parete del coro che si conclude nella caratteristica curva absidale che, chiusa fino a tre quarti a mò di ferro di cavallo, accenna ad un movimento avvolgente.
Infine, la orizzontalità della veduta absidale trova un contrappunto nella torretta campanaria, che, non priva di qualche nota ricercata, arricchisce lo sky-line dell'edificio rinforzandone anche la funzione di riferimento visivo nelle vedute a distanza.
Va ricordato che la chiesa sorse, e non a caso, proprio in fregio ad un percorso che già in passato era una importante via di traffico da nord a sud, in tempi recenti si chiamava ancora "Strada vecchia per Castano", ed assolveva al ruolo che oggi è tenuto dalla Strada Statale 341.
La posizione centrale, in corrispondenza di un nodo stradale, attribuisce alla chiesa il ruolo di fulcro prospettico di tutti e quattro i percorsi che su di essa convergono e, specie per via San Rocco, non occorre molto sforzo per riconoscere che la facciata monumentale che ne conclude la prospettiva sia un elemento degno e qualificante che arricchisce e valorizza tutto lo spazio urbano circostante.
Un altro valore, anch’esso riconoscibile senza sforzo, è la qualità architettonica che la chiesa esprime. Non si tratta infatti di uno dei tanti anonimi oratori campestri che la pietà popolare ha sparso per ogni dove nel territorio lombardo tra '600 e '700 e che sono caratterizzati da una estrema semplicità costruttiva e dalla pochezza architettonica (anche se pur ricca di fede ed umana poesia!) proprie del mondo contadino di un tempo. Qui siamo di fronte ad una costruzione che rivela una intenzionalità della committenza verso un certo grado di rappresentatività monumentale ed un impegno progettuale orientato ad un corrispondente grado di elaborazione formale. Tale intenzionalità si esprime anzitutto nella preminenza data alla facciata, strutturata su due ordini architettonici sovrapposti: due coppie di paraste binate ne sottolineano lo slancio verticale e sostengono modanature in cotto orizzontali di cui quella superiore è finemente profilata.
Il fronte ricurvo, alla sommità della facciata, marcatamente forte e sporgente, aggiunge un effetto di imponenza. Lo stesso motivo del frontone è riecheggiato nei piccoli timpani di uguale forma posti sopra le nicchie che serrano, forse un po' troppo dappresso, il semplice portale in pietra dell'ingresso.
Infine va notata la elaborazione decorativa profusa nella finestra di facciata i cui contorni si raccordano con volute alla cornice del primo ordine, mentre la sommità è definita da un elegante timpano i cui lati spezzati richiamano anch'essi il motivo delle volute.
Pur realizzata con materiale povero - il cotto - il trattamento delle membrature architettoniche è raffinato e pur trattandosi di risalti plastici non certo ridondanti, quando la luce solare ne accentua il rilevo se ne apprezza il gioco di effetti chiaroscurali ulteriormente animato dalla stessa pregnanza metrica delle superfici murarie al rustico in cui sono ancora incavate le buche pontaie lasciate dagli antichi costruttori secondo l'uso dell'epoca.
Nei corpi laterali, arretrati rispetto alla facciata, qualche lieve risalto ricavato sulle murature stabilisce una calibrata ripartizione delle superfici e, riecheggiando sia pure in termini minimali i motivi della facciata, raccordano in un certo senso quest'ultima al blocco centrale.
Come è tipico delle chiese costruite dopo il periodo della Controriforma e fino all'epoca del nostro San Rocco, tutte in qualche modo ispirate da una certa aderenza al trattato "Instructiones fabricae et supellectilis ecclesiasticae" di San Carlo Borromeo, le altre parti dell'edificio sono minimamente decorate (nel nostro caso solo un sottile fregio ad ovuli in corrispondenza del perimetro di gronda per tutto lo sviluppo esterno del muro del coro absidato), ma la sobrietà e politezza formale delle superfici nulla tolgono ad un involucro architettonico che aderisce alla essenzialità e chiarezza dell'impianto planimetrico. Esso è già di per se ricco di movimento e di effetti chiaroscurali grazie all'andamento dinamicamente articolato e fluente della parete del coro che si conclude nella caratteristica curva absidale che, chiusa fino a tre quarti a mò di ferro di cavallo, accenna ad un movimento avvolgente.
Infine, la orizzontalità della veduta absidale trova un contrappunto nella torretta campanaria, che, non priva di qualche nota ricercata, arricchisce lo sky-line dell'edificio rinforzandone anche la funzione di riferimento visivo nelle vedute a distanza.
Tra il 1712 e il 1741 il parroco Carlo Maria Majno ebbe una particolare attenzione per la chiesa di San Rocco. In quegli anni, infatti, venne innalzato il campanile e furono realizzati i due importanti quadri della vita del Santo al quale la chiesa è dedicata. Uno di questi è stato restaurato ed attualmente è collocato nel salone del Centro Parrocchiale.
Venne realizzato l'organo, la cantoria e il pulpito, "aggiunte le stabiliture e gli stucchi, il pavimento e le invetriate", furono dipinti i quattro evangelisti sui lati della volta, eretto l'altare di San Giovanni Battista a sinistra e quello del Santo Crocifisso sulla destra. Ad un abile intagliatore di Intra fu commissionato, per 180 lire, il Crocifisso, risultato bellissimo, che vi fu riposto nel 1736. Circa un secolo dopo questo Crocifisso venne solennemente collocato sull'altare omonimo, in marmo bianco, nella chiesa parrocchiale della SS. Trinità. Trattasi del medesimo simulacro che il 4 agosto del 1827 i fedeli invocarono per implorare la pioggia e che ottennero al termine di un triduo predicato da un fervoroso Cappuccino.
Venne realizzato l'organo, la cantoria e il pulpito, "aggiunte le stabiliture e gli stucchi, il pavimento e le invetriate", furono dipinti i quattro evangelisti sui lati della volta, eretto l'altare di San Giovanni Battista a sinistra e quello del Santo Crocifisso sulla destra. Ad un abile intagliatore di Intra fu commissionato, per 180 lire, il Crocifisso, risultato bellissimo, che vi fu riposto nel 1736. Circa un secolo dopo questo Crocifisso venne solennemente collocato sull'altare omonimo, in marmo bianco, nella chiesa parrocchiale della SS. Trinità. Trattasi del medesimo simulacro che il 4 agosto del 1827 i fedeli invocarono per implorare la pioggia e che ottennero al termine di un triduo predicato da un fervoroso Cappuccino.
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Nel 1993, grazie alla sensibilità e beneficenza di privati, sono iniziati i restauri dell'affresco del "Compianto sul Cristo morto" posto sull'altare della chiesa. L'affresco, del primo cinquecento, era preesistente alla chiesa attuale e vi fu collocato in epoca imprecisata.
Il trasporto fu reso possibile grazie alla tecnica dello "Stacco a massello" che consisteva nel taglio del setto murario portante l'affresco (140x140x20 cm di spessore) e sua rimozione, previa ingabbiatura in un telaio di legno. Il telaio è diventato temporaneamente visibile essendo stata rimossa la cornice, anch'essa in restauro. Dobbiamo presumere che l'immagine sacra fosse particolarmente venerata ed apprezzata se i fabbricieri del tempo furono indotti a recuperarla affrontando una operazione così delicata e complessa quale era lo "stacco a massello" nell'epoca in cui era sconosciuto lo strappo del solo intonaco come lo si pratica attualmente. |
Il dipinto, eseguito ad affresco (cioè steso sull'intonaco ancora fresco) ed in parte rifatto a secco, secondo una prassi frequente, è stato sottoposto ad un laborioso trattamento.
All'inizio, con la pulitura, è stata rimossa la maldestra ridipintura che ricopriva di colore nerastro il fondo nella zona superiore. Un'altra tinteggiatura beige ricopriva l'abito della Madonna senza rispettare i contorni originali. Rimuovendo il nero è emersa la traccia del primitivo fondo che era beige chiaro con velature grigie e si è ritrovata integra e completa la mano sinistra della Madonna. L'abito, riscoperto, mostra le tracce della materia pittorica originale, verde nei risvolti interni del velo e delle maniche e azzurro all'esterno come si vede nell'ampio panneggio inferiore. Di questo panneggio, quasi privo del colore originale, sono emersi anche i tratti del disegno preparatorio eseguiti con secche linee a carboncino.
Dopo la pulitura e rimozione di vecchie stuccature hanno seguito il consolidamento della pellicola pittorica laddove era instabile e la stuccatura delle lacune: quindi si è passati alla integrazione pittorica delle piccole lacune, fermo restando che le grandi lacune di colore non possono essere ricostruite per non arrecare arbitrarie alterazioni al testo originale e ciò in linea con i più aggiornati dettami teorici dell'odierno restauro conservativo.
La cornice dell'affresco, pregevole opera lignea databile tra fine '500 e inizio '600 è intagliata a festoni vegetali con parti dorate in foglia e parti policrome come le testine di angeli che la decorano. Il restauro ha seguito la procedura specifica di pulitura, disinfestazione antiparassitaria, consolidamento ed integrazione pittorica finale.
I lavori sono stati eseguiti dal Laboratorio San Gregorio di Busto Arsizio e diretti dal Dott. Pietro Marani della Sovrintendenza ai beni Artistici e Storici della Lombardia.
E' opportuno prevenire la probabile delusione di chi si aspettasse di trovare l'affresco "come se fosse stato appena dipinto". Il restauro conservativo, infatti, non consiste nell'imbellettamento o nel completamento di un'opera "ammalorata" dal tempo, ma si propone, invece, di recuperare la materia pittorica originale proteggendola, al meglio, da ulteriore deperimento. Nel nostro caso, assieme alla migliorata leggibilità delle parti integre, riscontreremo perfetta visibilità delle tracce di parti perdute. Per concludere: non riavremo un affresco "più nuovo" ma opportunamente più "sano" e più "autentico", il che aumenta, certamente, il suo fascino.
Oltre al restauro che abbiamo descritto, un'altra notizia conforta e dà soddisfazione a coloro che si sono adoperati per divulgare i pregi artistici della nostra chiesa. L'interessamento di uno studioso come Pietro Marani ha fruttato all'affresco la sua pubblicazione in un volume prestigioso e di notevole interesse scientifico: "Pittura tra Ticino e Olona: Varese e la Lombardia Nord-Occidentale" a cura di Mina Gregori (Collana: I Centri della pittura lombarda - Milano, Cariplo 1992).
Lo studioso citato, ha riscontrato, soprattutto nella testa di San Giovanni del "Compianto" di Samarate, forti analogie con l'affresco absidale della Chiesetta del Soccorso di Uboldo, datato e firmato: "Bernardinus de...vagis P.1507". Di questo maestro di formazione lombarda sono state avanzate recenti ipotesi di identificazione con "Bernardinus del Marchixelis dictus de Quagis de Inzago".
All'inizio, con la pulitura, è stata rimossa la maldestra ridipintura che ricopriva di colore nerastro il fondo nella zona superiore. Un'altra tinteggiatura beige ricopriva l'abito della Madonna senza rispettare i contorni originali. Rimuovendo il nero è emersa la traccia del primitivo fondo che era beige chiaro con velature grigie e si è ritrovata integra e completa la mano sinistra della Madonna. L'abito, riscoperto, mostra le tracce della materia pittorica originale, verde nei risvolti interni del velo e delle maniche e azzurro all'esterno come si vede nell'ampio panneggio inferiore. Di questo panneggio, quasi privo del colore originale, sono emersi anche i tratti del disegno preparatorio eseguiti con secche linee a carboncino.
Dopo la pulitura e rimozione di vecchie stuccature hanno seguito il consolidamento della pellicola pittorica laddove era instabile e la stuccatura delle lacune: quindi si è passati alla integrazione pittorica delle piccole lacune, fermo restando che le grandi lacune di colore non possono essere ricostruite per non arrecare arbitrarie alterazioni al testo originale e ciò in linea con i più aggiornati dettami teorici dell'odierno restauro conservativo.
La cornice dell'affresco, pregevole opera lignea databile tra fine '500 e inizio '600 è intagliata a festoni vegetali con parti dorate in foglia e parti policrome come le testine di angeli che la decorano. Il restauro ha seguito la procedura specifica di pulitura, disinfestazione antiparassitaria, consolidamento ed integrazione pittorica finale.
I lavori sono stati eseguiti dal Laboratorio San Gregorio di Busto Arsizio e diretti dal Dott. Pietro Marani della Sovrintendenza ai beni Artistici e Storici della Lombardia.
E' opportuno prevenire la probabile delusione di chi si aspettasse di trovare l'affresco "come se fosse stato appena dipinto". Il restauro conservativo, infatti, non consiste nell'imbellettamento o nel completamento di un'opera "ammalorata" dal tempo, ma si propone, invece, di recuperare la materia pittorica originale proteggendola, al meglio, da ulteriore deperimento. Nel nostro caso, assieme alla migliorata leggibilità delle parti integre, riscontreremo perfetta visibilità delle tracce di parti perdute. Per concludere: non riavremo un affresco "più nuovo" ma opportunamente più "sano" e più "autentico", il che aumenta, certamente, il suo fascino.
Oltre al restauro che abbiamo descritto, un'altra notizia conforta e dà soddisfazione a coloro che si sono adoperati per divulgare i pregi artistici della nostra chiesa. L'interessamento di uno studioso come Pietro Marani ha fruttato all'affresco la sua pubblicazione in un volume prestigioso e di notevole interesse scientifico: "Pittura tra Ticino e Olona: Varese e la Lombardia Nord-Occidentale" a cura di Mina Gregori (Collana: I Centri della pittura lombarda - Milano, Cariplo 1992).
Lo studioso citato, ha riscontrato, soprattutto nella testa di San Giovanni del "Compianto" di Samarate, forti analogie con l'affresco absidale della Chiesetta del Soccorso di Uboldo, datato e firmato: "Bernardinus de...vagis P.1507". Di questo maestro di formazione lombarda sono state avanzate recenti ipotesi di identificazione con "Bernardinus del Marchixelis dictus de Quagis de Inzago".