La chiesa della Purificazione di Maria Vergine
Da “1610-2010 Cassina del Manzo .... San Macario .... una storia lunga oltre 400 anni” - 2010 - Virginio Canziani
Da “Chiesa Parrocchiale Purificazione di Maria Vergine di San Macario” - Collana: I libri di Samarate, n. 73 - Gianluigi Aspesi
Da “Chiesa Parrocchiale Purificazione di Maria Vergine di San Macario” - Collana: I libri di Samarate, n. 73 - Gianluigi Aspesi
Nel 1500 e fino al 1674 il nostro paese era chiamato “Capsine Mandiis”, cioè -detto in volgare- Cascine del Manzo. Già allora, esattamente come al giorno d’oggi, il paese era diviso tra i due comuni di Ferno e di Samarate; sotto Samarate c’era la maggior parte del paese e anche la “Cassina delle Fornaci”, l’odierna Cascina Sopra.
La stessa divisione valeva per le parrocchie; in paese esisteva una cappella, o oratorio di campagna, molto piccola dove, soltanto alla domenica e in qualche festa particolare, veniva un sacerdote a celebrare la messa; la cappella era dedicata a “Santa Maria della Purificazione” titolo che la chiesa conserverà anche quando, nei secoli successivi, sarà eretta in parrocchia, rinnovata ed ampliata.
Il gesuita padre Lionetto Chiavone, inviato del Cardinale Carlo Borromeo, nella sua relazione del 1566 descrive la chiesa della “Purificazione della Beata Vergine Maria”. Secondo il suo rendiconto le dimensioni interne della chiesa erano: 11 braccia di lunghezza e 6 braccia in larghezza, praticamente come l’attuale chiesetta di San Protaso e Gervaso a Samarate, ed aveva un battistero in pietra e cemento; una campanella sopra la facciata con la corda che pendeva in mezzo alla porta d’ingresso.
Negli atti della visita vicariale si legge che nella cappella della Vergine Addolorata non vengono ancora conservati né la SS. Eucarestia, né gli oli santi; vi viene celebrata una sola S. Messa nei giorni festivi.
Nella seconda metà del XVI secolo la chiesa della Cascina del Manzo si arricchisce del quadro “Ecce Homo tra Pilato e il manigoldo”, di pregevole fattura, attribuito alla scuola veneta di Tiziano o di Tintoretto.
Qualcuno lo attribuisce a Paris Bordon, allievo del Tiziano: un suo dipinto dello stesso soggetto e molto simile nello stile è oggi nella Cattedrale di Padova, nella Sacrestia dei Canonici.
Nel 1570 venne visitata dall’Arcivescovo di Milano Carlo Borromeo che emette questa “ordinatio” riguardo alla chiesa: “...si facci refar il calice, si provvegga di due para de corporali, grandi alla misura et con una borsa de drapo de seda...”.
Successivamente la chiesetta fu ampliata, come dice mons. Luigi Bossi nella relazione di visita del 1596: “La chiesa è antica, lunga 15 braccia e otto di larghezza, troppo bassa coperta con tegole, pareti rustiche e pavimento non regolare” ... “gli uomini proposero di ampliare e anche sopraelevare le pareti della chiesa, il materiale per il suo ampliamento è pronto...”.
La Cura (Parrocchia) della Cascina del Manzo fu istituita come nuova parrocchia della Purificazione della Beata Vergine Maria delle Cassine del Manzo indipendente da Samarate e da Ferno, il 19 maggio del 1610con atto del Cardinale Federico Borromeo durante la visita pastorale alla Pieve di Gallarate. Comprendeva allora 38 fuochi (famiglie) e poco più di trecento abitanti ed era costituita dagli abitanti “citra Arno” sotto Ferno, “ultra Arno” sotto Samarate e da quelli delle “Fornaci”, sempre sotto Samarate.
Nel 1622 ancora il Cardinale Federico Borromeo scrive che la chiesa non è ancora consacrata, ha un’unica navata, capace di contenere tutta la popolazione (340 anime), con un confessionale, una torre campanaria, a vela con 2 campane, e sul fronte della chiesa un atrio lungo 7 braccia, cioè 3 metri. Dice inoltre che esiste la sacrestia e la casa del parroco contigua alla chiesa.
Il 22 giugno 1636, nell’ambito della “Guerra dei trent’anni”, si combatte la battaglia di Tornavento tra i Franco–Piemontesi e gli Spagnoli che occupano il Ducato di Milano.
Non c’è nessun vincitore: infatti i due eserciti si ritirano, stremati dalla battaglia e devastati dalla malaria.
Anche la Cascina del Manzo, come tutti i paesi vicini, non si sottrae alla furia e dai saccheggi. Un documento redatto in data 24 giugno dal parroco di allora, don Domenico Piantanida, così dice: “Notta delli danni, che ha patito la Parochiale delle Cassine del Manzo pieve di Gallarate Diocesi di Milano in ocasione del saccheggio fatto dalli francesi alli 17 di giugno giorno di martedì l’anno 1636”.
Vi vengono elencati i danni e i furti subiti: “brente sei di vino, tutta la maiolica, tutto il rame, tutto il peltro con due baccili, matarazzo uno, quattro quadri in sala, diversi mobili di casa...”.
Mons. Faustino Po nel dicembre 1644 sollecita il parroco ed il popolo ad intervenire urgentemente per sistemare la chiesa che si trova in condizioni pietose!
Nel 1651, la chiesa viene ampliata e restaurata e a settembre viene consacrata.
Negli anni seguenti il parroco acquista l’altare ligneo, con un nuovo tabernacolo fatto fare a Milano (fattura 650 lire imperiali).
Siamo nel 1673 quando il principe di Stigliano, Infante di Spagna, chiede al Papa le spoglie di un martire da venerare nella sua Cappella di Corte. La lunghezza dei tempi di autorizzazione e di trasporto fa sì che l’Infante di Spagna muoia, proprio mentre la cassetta con le reliquie arriva a Milano a disposizione del Governatore.
Probabilmente è una leggenda fatto stà che il parroco della Cascina del Manzo, Pietro Francesco Aresino, facendo leva su alcuni amici nobili milanesi e soprattutto sull’intercessione dell’Ill.mo Sig. Dottore Giovanni Domenico Gatti da Gambolò, riesce a far assegnare alla parrocchia il corpo del Santo Martire.
Il 31 ottobre si reca personalmente a Milano per prelevare le sacre reliquie del martire San Macario, giovane soldato romano della “Legione Tebea”, martirizzato nel 298 durante la persecuzione di Diocleziano, arrivate da Roma il 21 ottobre; le custodisce, per sicurezza, in casa parrocchiale, in attesa della realizzazione di un’apposita urna.
Il 31 gennaio, dell’anno seguente, il corpo di S. Macario viene deposto nell’apposita urna, un’opera di pregevole fattura, in ebano con decorazioni in argento, in tutto simile a quella che, nel Duomo di Milano, racchiude le sacre spoglie di San Carlo Borromeo.
Il 2 febbraio successivo, l’urna, dopo essere stata sigillata con le cosiddette “autentiche”, è solennemente collocata sopra l’altare di S. Margherita e viene esposta per la prima volta alla devozione dei fedeli.
D’ora in avanti si verifica un continuo accorrere di fedeli da tutta la Lombardia e dalle regioni confinanti, per venerare le reliquie del Santo: ci sono persone umili, ma anche autorità e nobili.
Da subito si manifestano le doti taumaturgiche di S. Macario con vari miracoli: malattie scongiurate, guarigioni, liberazione di ossessi.
In una relazione della visita vicariale del settembre/ottobre 1682 di mons. Paolo Cernuschi si trova scritto: “Innumerevoli sono qui appese alla parete su una apposita tabella le cose di quelli venuti del luogo come anche di quelli vicini e di genti straniere in gruppo o da soli con animo grato e virtù d’anima per grazia ricevuta hanno donato liberamente e devotamente con munificenza”.
Ciò e confermato anche da mons. Corradi nel 1706: “Varia pendent ligneae tabellae dipinctae, sub oscuro colore caelata inauratae in quibus infixa sunt plurima minuscula, sic etiam plurimae tabellae pro gratiarum actione”. Ovvero le persone lasciavano oggetti e memorie a seguito di grazia ricevuta e questi man mano venivano appesi su tavole disposte accanto all’altare del Santo.
Da tale data il parroco Pietro Francesco Aresino comincia a firmarsi sui documenti “Parochus loci Sancti Macarii”.
Il 16 maggio don Giovanni Battista Puricelli posa la prima pietra per l’edificazione della nicchia destinata ad accogliere l’urna del Santo; nel contempo si realizza, in sostituzione di quello di S. Margherita, l’altare di S. Macario con la relativa ancóna (la cornice che sovrasta l’altare).
Il giorno di Pentecoste sono accampate nella brughiera, sotto tende improvvisate, circa ventimila persone, venute a onorare il Santo.
Nel 1678 la chiesa si arricchisce del prezioso stendardo processionale, che raffigura su un lato la Vergine Addolorata e sull’altro S. Macario che chiede grazie al Signore per i suoi parrocchiani.
Il pregevole manufatto è ricamato interamente a mano dalle Suore di Lonate Pozzolo, su disegno del Fiamminghino e, da una nota spese conservata nell’Archivio parrocchiale, costa alla comunità la somma di lire 9000 dell’epoca.
Dalla relazione patrimoniale del 1684 si rileva: “La longhezza della chiesa è braccia 35 netta, larghezza braccia 20. D’architettura moderna fabricata, l’anno 1651. Contiene detta chiesa l’altare maggiore con due capelle in mezzo di essa dirimpetto l’una all’altra. La prima e dedicata alla B.V. Adolorata, la seconda a S. Margarita e poscia a S. Machario, ed a San Carlo con una ancona per ciascuna delle due pareti di legno intagliate, e dorate. Una cappella minore serve per Battistero”.
La popolazione conta circa 476 anime.
Il 9 dicembre 1706 una visita pastorale, segnala molti ex-voto ed altri oggetti “per grazia ricevuta” ai lati dell’altare di S. Macario.
Il 25 luglio del 1732, la notte di S. Giacomo Apostolo, dopo un terribile temporale notturno, l’Arno esonda spaventosamente: affogano persone ed animali, i campi sono devastati; a Samarate si contano tre morti.
Alle sei del mattino l’acqua arriva a lambire i gradini della chiesa di San Macario, ma miracolosamente, grazie all’intercessione del Santo Martire pregato con fede, essa muta il suo corso e la massa d’acqua e fango si dirige verso la brughiera; la casa parrocchiale è però inondata e il paese rimane isolato sia da Ferno che da Samarate.
La spaventosa inondazione distrugge e rovina irreparabilmente parecchi archivi parrocchiali.
Nel 1790 il paese conta 580 abitanti (Verghera 399, Samarate 1313, Ferno 1139).
Agli inizi dell’ottocento anche la nostra chiesa parrocchiale deve sottostare al Decreto napoleonico per la “requisizione degli argenti”, termine eufemistico per mascherare le nuove razzie dei francesi, questa volta dei soldati di Napoleone Bonaparte: vengono sottratti “...una croce d’argento di sei once (circa sette chili), due lampadari in argento, un turibolo con navicella in argento ecc. ...”.
Nel 1830 il parroco don Giovanni Luciani presenta al Ministero del Culto a Milano, per approvazione, il progetto di ampliamento della chiesa. Il 10 aprile 1832 l’ampliamento della chiesa viene terminato con un costo di 8900 lire austriache: sono aggiunti la sagrestia e i sedili del coro.
Tra il 1861 e il 1870 viene costruito il grande organo “Carrera”, organari De Simoni e Carrera.
Nel 1869 si procede al restauro dell’urna di S. Macario.
Una lettera conservata nell’Archivio parrocchiale, datata 12 maggio 1869 e firmata da mons. Angelo Maria Mantegazza, certifica l’autenticità del corpo di S. Macario, posto nell’urna restaurata e suggellata con sei sigilli in ceralacca rossa.
Un nuovo restauro della chiesa parrocchiale viene effettuato nel 1893.
Il pittore Luigi Tagliaferri termina vari affreschi e decorazioni: “Consegna delle chiavi a S. Pietro”, “Battesimo di Gesù” (nel Battistero), “Purificazione di Maria Vergine”, “Assunzione”, “Martirio di S. Agnese”, “Martirio di S. Macario”.
Nella relazione del 1897 il parroco don Oliva, in previsione della visita Pastorale del 1898, scrive che la chiesa è in buonissimo stato perché restaurata nel 1893, ma come lavori necessari indica il restauro del vecchio altare artistico e poi l’ingrandimento della chiesa che allora (secondo lui) poteva contenere solo 1050 persone.
Nel 1902 viene eseguito un intervento radicale di ampliamento della chiesa con l’abbattimento del presbiterio, prima contiguo al campanile, trasformando la chiesa a croce latina con la creazione del transetto, ospitante le due grandi cappelle laterali con gli altari di San Macario e della Madonna Addolorata, e di un più ampio e profondo presbiterio.
Il progetto della sistemazione della chiesa fu dell’architetto don Enrico Locatelli, parroco di Vergiate, autore tra l’altro delle chiese di San Domenico e Santi Martiri a Legnano, San Luigi a Milano, e le parrocchiali di Vergiate, Ranco, Cantello e Mercallo.
Nelle sue annotazioni, don Angelo Melli descrive gli avvenimenti relativi al periodo dell’ampliamento della chiesa:
“... Si iniziarono i lavori di demolizione il 14 Aprile 1902 e lavorando febbrilmente si poté tutto approntare per la posa della prima pietra per il giorno 8 Maggio, giorno dell’Ascensione di Gesù. ... La posa della prima pietra fu compiuta dal nostro benefattore, il Vescovo Mantegazza ...
...Due mesi dopo, ossia l’otto Luglio, si metteva il tetto, e per la fine di Settembre era ultimata.
Tutto era predisposto perché in Ottobre, quando mons. Mantegazza sarebbe venuto a passare la sua breve vacanza, s’avesse con una festa a benedire ed inaugurare la nuova chiesa. Invece il giorno 26 Settembre alle 6.30 del mattino a Milano, mons. Mantegazza cessava di vivere. ...”
Nella incompiuta costruzione, ma con repentina sistemazione di un altare e un piccolo pulpito provvisori, furono celebrati gli imponenti funerali con la partecipazione di vescovi, monsignori e di circa 200 sacerdoti. Naturalmente la partecipazione della popolazione di San Macario fu totale.
Nel 1903 il pittore Pio Pinzanti da Cortona, con l’aiuto del pittore Italo Cenni, milanese, inizia la realizzazione degli affreschi della cupola del transetto con la traslazione di S. Macario e le sue vittorie contro i demoni.
Il 6 e 7 settembre sono organizzate grandi feste per l’inaugurazione delle nuove decorazioni della chiesa e per la definitiva sistemazione della statua della Vergine Addolorata. In tale occasione viene ricordato Mons. Mantegazza: un busto in marmo, chiuso da una cancellata floreale, opera dello scultore Antonio Carminati, viene posto in chiesa, in una nicchia sul lato destro, a suo perenne ricordo.
La chiesa Parrocchiale di San Macario fu poi consacrata l’11 Maggio 1904 dal Card. Andrea Carlo Ferrari durante la sua visita Pastorale: la consacrazione durò dalle 4.30 fino alle 8.30 del mattino.
Pio Pinzanti e Italo Cenni continuano gli affreschi e le decorazioni, iniziati nel 1903: sulla parete destra del presbiterio “Il governatore e sua moglie, con i militari del Castello di Milano, i musici ed il seguito che assistono a una Messa”; sulla parete sinistra “Il martirio di S. Margherita”; sulla volta “Il trionfo della S. Croce”; un drappeggio sullo sfondo dell’altare di S. Macario.
Nel luglio del 1930 viene rifatto il selciato sotto e davanti al portichetto (pròtiro), il sagrato assume la forma attuale, con i ciotoli bianchi e neri provenienti dal vicino Ticino.
A ricordo dell’Anno Santo 1933 della Redenzione, il parroco, a sue spese, fa riparare, completare con ornamenti e dorare il pulpito, opera d’arte secentesca troppo trascurata; l’incarico è affidato agli Artigianelli di Milano ed esegue personalmente il lavoro lo scultore sig. Annibale Pagnoni, ideatore ed esecutore del paliotto ligneo dell’altare maggiore.
Il pittore Orsenigo di Varese realizza gli affreschi “S. Luigi Gonzaga che riceve la Prima Comunione da S. Carlo” e “La gloria di S. Agnese” (costo lire 900).
La ditta Cervini di Morazzone posa i cancelletti in ferro battuto per chiudere le balaustre degli altari laterali, ora rimosse (costo lire 750).
Nel maggio 1938 la cappella-ossario, posta sul lato sinistro della chiesa, viene demolita: le ossa custodite nel “mortorio” sono portate in processione con grande concorso di popolo e tumulate al Cimitero.
Viene ampliato il Battistero (misure attuali m. 3 x 3,50); viene messa in ordine la facciata con l’aggiunta delle due statue di S. Pietro e di S. Paolo; vengono sistemati il pavimento, il tetto e le due cappelle laterali (inizio dei lavori 10 maggio).
I lavori si concludono a settembre, dopodiché si procede alla solenne benedizione ed inaugurazione.
La chiesa risulta ora di queste dimensioni:
Al 31 dicembre la popolazione conta 2128 presenze, divise in 566 famiglie.
Il pittore Carlo Cocquio nel 1955 dipinge una tela raffigurante S. Macario in divisa di centurione romano con un mantello rosso.
Tra il 1974 e il 1975 il pittore prof. Eugenio Sartorio di Somma Lombardo restaura l’affresco della cupola del pròtiro, che rappresenta Dio creatore del mondo attorniato dagli angeli.
A giugno del 1976, secondo le disposizioni del Concilio Vaticano II, l’altare viene rivolto verso il popolo.
Nel 1978 il parroco don Celestino Cazzaniga fa eseguire il rifacimento del tetto della chiesa e la ritinteggiatura dell’interno.
Sul lato sinistro della chiesa nel 1984 è posta una pala raffigurante Papa Paolo VI con le guardie svizzere, realizzata dal pittore Aniello Crispo; precedentemente esisteva, su una mensola, la statua del Sacro Cuore. Nel 2009 questa pala è stata collocata nella nuova Penitenzieria.
La notte fra il 27 e il 28 maggio 1988 la chiesa subisce un ingentissimo furto.
Vengono sottratti: 2 leggii, 6 candelieri, 1 crocifisso, 4 grandi reliquiari in legno dorato, 8 piccoli reliquiari in argento, 13 stazioni della Via Crucis (quella rimasta, la prima, è custodita in Sacrestia) e la preziosa corona della Madonna Addolorata, per un valore di circa 30 milioni dell’epoca.
Questo è il furto più grave subito dalla parrocchia, dopo quello effettuato dai soldati di Napoleone agli inizi dell’ottocento.
In seguito, il parroco don Paolo Donato fa erigere una cancellata in ferro battuto, con portone centrale e porte laterali, per limitare l’accesso alla sola zona d’ingresso nei periodi della giornata senza funzioni.
La Via Crucis viene sostituita con un’opera moderna in legno, realizzata da artisti della Val Gardena.
Il pittore Aniello Crispo nel 1989 realizza una tela raffigurante il busto di S. Macario (attualmente in sacrestia).
Nel 1992 le vetrate della chiesa parrocchiale, quelle fatte nel 1944, vengono sostituite con opere nuove a motivi geometrici moderni.
Dagli altari di S. Macario e della Madonna Addolorata vengono tolte le balaustre in marmo del XVIII secolo, con i relativi cancelletti floreali in ferro battuto e ornamenti in ottone.
A luglio 2008 viene restaurato dal laboratorio S. Gregorio di Busto Arsizio il quadro “L’Angelo custode e le anime del Purgatorio” di Biagio Bellotti, fino a questa data era mal conservato nella chiesa dell’Angelo Custode, ora è posizionato sulla parete sinistra della chiesa parrocchiale.
La stessa divisione valeva per le parrocchie; in paese esisteva una cappella, o oratorio di campagna, molto piccola dove, soltanto alla domenica e in qualche festa particolare, veniva un sacerdote a celebrare la messa; la cappella era dedicata a “Santa Maria della Purificazione” titolo che la chiesa conserverà anche quando, nei secoli successivi, sarà eretta in parrocchia, rinnovata ed ampliata.
Il gesuita padre Lionetto Chiavone, inviato del Cardinale Carlo Borromeo, nella sua relazione del 1566 descrive la chiesa della “Purificazione della Beata Vergine Maria”. Secondo il suo rendiconto le dimensioni interne della chiesa erano: 11 braccia di lunghezza e 6 braccia in larghezza, praticamente come l’attuale chiesetta di San Protaso e Gervaso a Samarate, ed aveva un battistero in pietra e cemento; una campanella sopra la facciata con la corda che pendeva in mezzo alla porta d’ingresso.
Negli atti della visita vicariale si legge che nella cappella della Vergine Addolorata non vengono ancora conservati né la SS. Eucarestia, né gli oli santi; vi viene celebrata una sola S. Messa nei giorni festivi.
Nella seconda metà del XVI secolo la chiesa della Cascina del Manzo si arricchisce del quadro “Ecce Homo tra Pilato e il manigoldo”, di pregevole fattura, attribuito alla scuola veneta di Tiziano o di Tintoretto.
Qualcuno lo attribuisce a Paris Bordon, allievo del Tiziano: un suo dipinto dello stesso soggetto e molto simile nello stile è oggi nella Cattedrale di Padova, nella Sacrestia dei Canonici.
Nel 1570 venne visitata dall’Arcivescovo di Milano Carlo Borromeo che emette questa “ordinatio” riguardo alla chiesa: “...si facci refar il calice, si provvegga di due para de corporali, grandi alla misura et con una borsa de drapo de seda...”.
Successivamente la chiesetta fu ampliata, come dice mons. Luigi Bossi nella relazione di visita del 1596: “La chiesa è antica, lunga 15 braccia e otto di larghezza, troppo bassa coperta con tegole, pareti rustiche e pavimento non regolare” ... “gli uomini proposero di ampliare e anche sopraelevare le pareti della chiesa, il materiale per il suo ampliamento è pronto...”.
La Cura (Parrocchia) della Cascina del Manzo fu istituita come nuova parrocchia della Purificazione della Beata Vergine Maria delle Cassine del Manzo indipendente da Samarate e da Ferno, il 19 maggio del 1610con atto del Cardinale Federico Borromeo durante la visita pastorale alla Pieve di Gallarate. Comprendeva allora 38 fuochi (famiglie) e poco più di trecento abitanti ed era costituita dagli abitanti “citra Arno” sotto Ferno, “ultra Arno” sotto Samarate e da quelli delle “Fornaci”, sempre sotto Samarate.
Nel 1622 ancora il Cardinale Federico Borromeo scrive che la chiesa non è ancora consacrata, ha un’unica navata, capace di contenere tutta la popolazione (340 anime), con un confessionale, una torre campanaria, a vela con 2 campane, e sul fronte della chiesa un atrio lungo 7 braccia, cioè 3 metri. Dice inoltre che esiste la sacrestia e la casa del parroco contigua alla chiesa.
Il 22 giugno 1636, nell’ambito della “Guerra dei trent’anni”, si combatte la battaglia di Tornavento tra i Franco–Piemontesi e gli Spagnoli che occupano il Ducato di Milano.
Non c’è nessun vincitore: infatti i due eserciti si ritirano, stremati dalla battaglia e devastati dalla malaria.
Anche la Cascina del Manzo, come tutti i paesi vicini, non si sottrae alla furia e dai saccheggi. Un documento redatto in data 24 giugno dal parroco di allora, don Domenico Piantanida, così dice: “Notta delli danni, che ha patito la Parochiale delle Cassine del Manzo pieve di Gallarate Diocesi di Milano in ocasione del saccheggio fatto dalli francesi alli 17 di giugno giorno di martedì l’anno 1636”.
Vi vengono elencati i danni e i furti subiti: “brente sei di vino, tutta la maiolica, tutto il rame, tutto il peltro con due baccili, matarazzo uno, quattro quadri in sala, diversi mobili di casa...”.
Mons. Faustino Po nel dicembre 1644 sollecita il parroco ed il popolo ad intervenire urgentemente per sistemare la chiesa che si trova in condizioni pietose!
Nel 1651, la chiesa viene ampliata e restaurata e a settembre viene consacrata.
Negli anni seguenti il parroco acquista l’altare ligneo, con un nuovo tabernacolo fatto fare a Milano (fattura 650 lire imperiali).
Siamo nel 1673 quando il principe di Stigliano, Infante di Spagna, chiede al Papa le spoglie di un martire da venerare nella sua Cappella di Corte. La lunghezza dei tempi di autorizzazione e di trasporto fa sì che l’Infante di Spagna muoia, proprio mentre la cassetta con le reliquie arriva a Milano a disposizione del Governatore.
Probabilmente è una leggenda fatto stà che il parroco della Cascina del Manzo, Pietro Francesco Aresino, facendo leva su alcuni amici nobili milanesi e soprattutto sull’intercessione dell’Ill.mo Sig. Dottore Giovanni Domenico Gatti da Gambolò, riesce a far assegnare alla parrocchia il corpo del Santo Martire.
Il 31 ottobre si reca personalmente a Milano per prelevare le sacre reliquie del martire San Macario, giovane soldato romano della “Legione Tebea”, martirizzato nel 298 durante la persecuzione di Diocleziano, arrivate da Roma il 21 ottobre; le custodisce, per sicurezza, in casa parrocchiale, in attesa della realizzazione di un’apposita urna.
Il 31 gennaio, dell’anno seguente, il corpo di S. Macario viene deposto nell’apposita urna, un’opera di pregevole fattura, in ebano con decorazioni in argento, in tutto simile a quella che, nel Duomo di Milano, racchiude le sacre spoglie di San Carlo Borromeo.
Il 2 febbraio successivo, l’urna, dopo essere stata sigillata con le cosiddette “autentiche”, è solennemente collocata sopra l’altare di S. Margherita e viene esposta per la prima volta alla devozione dei fedeli.
D’ora in avanti si verifica un continuo accorrere di fedeli da tutta la Lombardia e dalle regioni confinanti, per venerare le reliquie del Santo: ci sono persone umili, ma anche autorità e nobili.
Da subito si manifestano le doti taumaturgiche di S. Macario con vari miracoli: malattie scongiurate, guarigioni, liberazione di ossessi.
In una relazione della visita vicariale del settembre/ottobre 1682 di mons. Paolo Cernuschi si trova scritto: “Innumerevoli sono qui appese alla parete su una apposita tabella le cose di quelli venuti del luogo come anche di quelli vicini e di genti straniere in gruppo o da soli con animo grato e virtù d’anima per grazia ricevuta hanno donato liberamente e devotamente con munificenza”.
Ciò e confermato anche da mons. Corradi nel 1706: “Varia pendent ligneae tabellae dipinctae, sub oscuro colore caelata inauratae in quibus infixa sunt plurima minuscula, sic etiam plurimae tabellae pro gratiarum actione”. Ovvero le persone lasciavano oggetti e memorie a seguito di grazia ricevuta e questi man mano venivano appesi su tavole disposte accanto all’altare del Santo.
Da tale data il parroco Pietro Francesco Aresino comincia a firmarsi sui documenti “Parochus loci Sancti Macarii”.
Il 16 maggio don Giovanni Battista Puricelli posa la prima pietra per l’edificazione della nicchia destinata ad accogliere l’urna del Santo; nel contempo si realizza, in sostituzione di quello di S. Margherita, l’altare di S. Macario con la relativa ancóna (la cornice che sovrasta l’altare).
Il giorno di Pentecoste sono accampate nella brughiera, sotto tende improvvisate, circa ventimila persone, venute a onorare il Santo.
Nel 1678 la chiesa si arricchisce del prezioso stendardo processionale, che raffigura su un lato la Vergine Addolorata e sull’altro S. Macario che chiede grazie al Signore per i suoi parrocchiani.
Il pregevole manufatto è ricamato interamente a mano dalle Suore di Lonate Pozzolo, su disegno del Fiamminghino e, da una nota spese conservata nell’Archivio parrocchiale, costa alla comunità la somma di lire 9000 dell’epoca.
Dalla relazione patrimoniale del 1684 si rileva: “La longhezza della chiesa è braccia 35 netta, larghezza braccia 20. D’architettura moderna fabricata, l’anno 1651. Contiene detta chiesa l’altare maggiore con due capelle in mezzo di essa dirimpetto l’una all’altra. La prima e dedicata alla B.V. Adolorata, la seconda a S. Margarita e poscia a S. Machario, ed a San Carlo con una ancona per ciascuna delle due pareti di legno intagliate, e dorate. Una cappella minore serve per Battistero”.
La popolazione conta circa 476 anime.
Il 9 dicembre 1706 una visita pastorale, segnala molti ex-voto ed altri oggetti “per grazia ricevuta” ai lati dell’altare di S. Macario.
Il 25 luglio del 1732, la notte di S. Giacomo Apostolo, dopo un terribile temporale notturno, l’Arno esonda spaventosamente: affogano persone ed animali, i campi sono devastati; a Samarate si contano tre morti.
Alle sei del mattino l’acqua arriva a lambire i gradini della chiesa di San Macario, ma miracolosamente, grazie all’intercessione del Santo Martire pregato con fede, essa muta il suo corso e la massa d’acqua e fango si dirige verso la brughiera; la casa parrocchiale è però inondata e il paese rimane isolato sia da Ferno che da Samarate.
La spaventosa inondazione distrugge e rovina irreparabilmente parecchi archivi parrocchiali.
Nel 1790 il paese conta 580 abitanti (Verghera 399, Samarate 1313, Ferno 1139).
Agli inizi dell’ottocento anche la nostra chiesa parrocchiale deve sottostare al Decreto napoleonico per la “requisizione degli argenti”, termine eufemistico per mascherare le nuove razzie dei francesi, questa volta dei soldati di Napoleone Bonaparte: vengono sottratti “...una croce d’argento di sei once (circa sette chili), due lampadari in argento, un turibolo con navicella in argento ecc. ...”.
Nel 1830 il parroco don Giovanni Luciani presenta al Ministero del Culto a Milano, per approvazione, il progetto di ampliamento della chiesa. Il 10 aprile 1832 l’ampliamento della chiesa viene terminato con un costo di 8900 lire austriache: sono aggiunti la sagrestia e i sedili del coro.
Tra il 1861 e il 1870 viene costruito il grande organo “Carrera”, organari De Simoni e Carrera.
Nel 1869 si procede al restauro dell’urna di S. Macario.
Una lettera conservata nell’Archivio parrocchiale, datata 12 maggio 1869 e firmata da mons. Angelo Maria Mantegazza, certifica l’autenticità del corpo di S. Macario, posto nell’urna restaurata e suggellata con sei sigilli in ceralacca rossa.
Un nuovo restauro della chiesa parrocchiale viene effettuato nel 1893.
Il pittore Luigi Tagliaferri termina vari affreschi e decorazioni: “Consegna delle chiavi a S. Pietro”, “Battesimo di Gesù” (nel Battistero), “Purificazione di Maria Vergine”, “Assunzione”, “Martirio di S. Agnese”, “Martirio di S. Macario”.
Nella relazione del 1897 il parroco don Oliva, in previsione della visita Pastorale del 1898, scrive che la chiesa è in buonissimo stato perché restaurata nel 1893, ma come lavori necessari indica il restauro del vecchio altare artistico e poi l’ingrandimento della chiesa che allora (secondo lui) poteva contenere solo 1050 persone.
Nel 1902 viene eseguito un intervento radicale di ampliamento della chiesa con l’abbattimento del presbiterio, prima contiguo al campanile, trasformando la chiesa a croce latina con la creazione del transetto, ospitante le due grandi cappelle laterali con gli altari di San Macario e della Madonna Addolorata, e di un più ampio e profondo presbiterio.
Il progetto della sistemazione della chiesa fu dell’architetto don Enrico Locatelli, parroco di Vergiate, autore tra l’altro delle chiese di San Domenico e Santi Martiri a Legnano, San Luigi a Milano, e le parrocchiali di Vergiate, Ranco, Cantello e Mercallo.
Nelle sue annotazioni, don Angelo Melli descrive gli avvenimenti relativi al periodo dell’ampliamento della chiesa:
“... Si iniziarono i lavori di demolizione il 14 Aprile 1902 e lavorando febbrilmente si poté tutto approntare per la posa della prima pietra per il giorno 8 Maggio, giorno dell’Ascensione di Gesù. ... La posa della prima pietra fu compiuta dal nostro benefattore, il Vescovo Mantegazza ...
...Due mesi dopo, ossia l’otto Luglio, si metteva il tetto, e per la fine di Settembre era ultimata.
Tutto era predisposto perché in Ottobre, quando mons. Mantegazza sarebbe venuto a passare la sua breve vacanza, s’avesse con una festa a benedire ed inaugurare la nuova chiesa. Invece il giorno 26 Settembre alle 6.30 del mattino a Milano, mons. Mantegazza cessava di vivere. ...”
Nella incompiuta costruzione, ma con repentina sistemazione di un altare e un piccolo pulpito provvisori, furono celebrati gli imponenti funerali con la partecipazione di vescovi, monsignori e di circa 200 sacerdoti. Naturalmente la partecipazione della popolazione di San Macario fu totale.
Nel 1903 il pittore Pio Pinzanti da Cortona, con l’aiuto del pittore Italo Cenni, milanese, inizia la realizzazione degli affreschi della cupola del transetto con la traslazione di S. Macario e le sue vittorie contro i demoni.
Il 6 e 7 settembre sono organizzate grandi feste per l’inaugurazione delle nuove decorazioni della chiesa e per la definitiva sistemazione della statua della Vergine Addolorata. In tale occasione viene ricordato Mons. Mantegazza: un busto in marmo, chiuso da una cancellata floreale, opera dello scultore Antonio Carminati, viene posto in chiesa, in una nicchia sul lato destro, a suo perenne ricordo.
La chiesa Parrocchiale di San Macario fu poi consacrata l’11 Maggio 1904 dal Card. Andrea Carlo Ferrari durante la sua visita Pastorale: la consacrazione durò dalle 4.30 fino alle 8.30 del mattino.
Pio Pinzanti e Italo Cenni continuano gli affreschi e le decorazioni, iniziati nel 1903: sulla parete destra del presbiterio “Il governatore e sua moglie, con i militari del Castello di Milano, i musici ed il seguito che assistono a una Messa”; sulla parete sinistra “Il martirio di S. Margherita”; sulla volta “Il trionfo della S. Croce”; un drappeggio sullo sfondo dell’altare di S. Macario.
Nel luglio del 1930 viene rifatto il selciato sotto e davanti al portichetto (pròtiro), il sagrato assume la forma attuale, con i ciotoli bianchi e neri provenienti dal vicino Ticino.
A ricordo dell’Anno Santo 1933 della Redenzione, il parroco, a sue spese, fa riparare, completare con ornamenti e dorare il pulpito, opera d’arte secentesca troppo trascurata; l’incarico è affidato agli Artigianelli di Milano ed esegue personalmente il lavoro lo scultore sig. Annibale Pagnoni, ideatore ed esecutore del paliotto ligneo dell’altare maggiore.
Il pittore Orsenigo di Varese realizza gli affreschi “S. Luigi Gonzaga che riceve la Prima Comunione da S. Carlo” e “La gloria di S. Agnese” (costo lire 900).
La ditta Cervini di Morazzone posa i cancelletti in ferro battuto per chiudere le balaustre degli altari laterali, ora rimosse (costo lire 750).
Nel maggio 1938 la cappella-ossario, posta sul lato sinistro della chiesa, viene demolita: le ossa custodite nel “mortorio” sono portate in processione con grande concorso di popolo e tumulate al Cimitero.
Viene ampliato il Battistero (misure attuali m. 3 x 3,50); viene messa in ordine la facciata con l’aggiunta delle due statue di S. Pietro e di S. Paolo; vengono sistemati il pavimento, il tetto e le due cappelle laterali (inizio dei lavori 10 maggio).
I lavori si concludono a settembre, dopodiché si procede alla solenne benedizione ed inaugurazione.
La chiesa risulta ora di queste dimensioni:
- lunghezza totale: 36,00 m;
- larghezza presbiterio: 11,20 m;
- lunghezza presbiterio: 8,00 m;
- lunghezza transetto: 18,00 m;
- larghezza transetto: 8,00 m;
- larghezza navata: 8,00 m;
- altezza cupola: 15,00 m;
- diametro abside: 8,00 m.
Al 31 dicembre la popolazione conta 2128 presenze, divise in 566 famiglie.
Il pittore Carlo Cocquio nel 1955 dipinge una tela raffigurante S. Macario in divisa di centurione romano con un mantello rosso.
Tra il 1974 e il 1975 il pittore prof. Eugenio Sartorio di Somma Lombardo restaura l’affresco della cupola del pròtiro, che rappresenta Dio creatore del mondo attorniato dagli angeli.
A giugno del 1976, secondo le disposizioni del Concilio Vaticano II, l’altare viene rivolto verso il popolo.
Nel 1978 il parroco don Celestino Cazzaniga fa eseguire il rifacimento del tetto della chiesa e la ritinteggiatura dell’interno.
Sul lato sinistro della chiesa nel 1984 è posta una pala raffigurante Papa Paolo VI con le guardie svizzere, realizzata dal pittore Aniello Crispo; precedentemente esisteva, su una mensola, la statua del Sacro Cuore. Nel 2009 questa pala è stata collocata nella nuova Penitenzieria.
La notte fra il 27 e il 28 maggio 1988 la chiesa subisce un ingentissimo furto.
Vengono sottratti: 2 leggii, 6 candelieri, 1 crocifisso, 4 grandi reliquiari in legno dorato, 8 piccoli reliquiari in argento, 13 stazioni della Via Crucis (quella rimasta, la prima, è custodita in Sacrestia) e la preziosa corona della Madonna Addolorata, per un valore di circa 30 milioni dell’epoca.
Questo è il furto più grave subito dalla parrocchia, dopo quello effettuato dai soldati di Napoleone agli inizi dell’ottocento.
In seguito, il parroco don Paolo Donato fa erigere una cancellata in ferro battuto, con portone centrale e porte laterali, per limitare l’accesso alla sola zona d’ingresso nei periodi della giornata senza funzioni.
La Via Crucis viene sostituita con un’opera moderna in legno, realizzata da artisti della Val Gardena.
Il pittore Aniello Crispo nel 1989 realizza una tela raffigurante il busto di S. Macario (attualmente in sacrestia).
Nel 1992 le vetrate della chiesa parrocchiale, quelle fatte nel 1944, vengono sostituite con opere nuove a motivi geometrici moderni.
Dagli altari di S. Macario e della Madonna Addolorata vengono tolte le balaustre in marmo del XVIII secolo, con i relativi cancelletti floreali in ferro battuto e ornamenti in ottone.
A luglio 2008 viene restaurato dal laboratorio S. Gregorio di Busto Arsizio il quadro “L’Angelo custode e le anime del Purgatorio” di Biagio Bellotti, fino a questa data era mal conservato nella chiesa dell’Angelo Custode, ora è posizionato sulla parete sinistra della chiesa parrocchiale.
Il quadro “L’Angelo custode e le anime del Purgatorio” di Biagio Bellotti
La sua storia inizia così: “... nella chiesa dell’Angelo viene posta la tela «L’Angelo custode e le anime del Purgatorio»…”, anno 1765.
Nell’Archivio parrocchiale è custodita una ricevuta autografa del pittore Biagio Bellotti, per la cifra di centocinquanta lire milanesi, rilasciata al parroco don Annibale Rosnati in data 5 agosto 1765.
Nel 1935, il parroco, don Ambrogio Rabolini, scopre negli archivi la ricevuta del Bellotti e si preoccupa subito di metterne al corrente la Curia Arcivescovile, annotando che il quadro “... fu sempre trascurato, esposto alla polvere della strada provinciale e alla luce diretta del sole di mezzogiorno e soprattutto in pericolo di essere trafugato quando si verrà a sapere il suo valore e pregio artistico ...”.
Don Rabolini, con una lettera del 24 aprile 1935, indirizzata alla Curia Arcivescovile, chiede di poter restaurare la tela e di collocarla nella chiesa parrocchiale.
Il segretario Vincenzo Negri, a nome della Curia, in data 13 giugno 1935, prontamente risponde, pregando il parroco di custodirla in altro luogo “... che dia tutti gli affidamenti necessari ...”.
Il quadro viene allora rimosso e mandato a restaurare, forse da un restauratore di Legnano (Turri?), ma quando torna in parrocchia, il seno nudo “della figura grande di sinistra” è dissimulato da un drappeggio azzurrino che copre le nudità.
Il quadro, comunque, è nuovamente collocato nella nicchia che sovrasta l’altare centrale della chiesa dell’Angelo, ancora in un ambiente inadatto, tanto che nel 1977 il parroco don Celestino Cazzaniga decide un nuovo restauro presso il pittore – restauratore Eugenio Sartorio di Somma Lombardo.
Egli, nella relazione del lavoro eseguito, dichiara che l’opera di Biagio Bellotti “... si può collocare fra gli ottimi dipinti di scuola classica antica nel campo del sacro...”.
Naturalmente il restauratore Sartorio porta il dipinto alla stesura originale “... eliminando il manto che copre la figura grande di sinistra ... con lo scopo evidente di nascondere le nudità della stessa figura...”.
Il quadro, però, ritorna nuovamente alla chiesa dell’Angelo sino al 1978, quando, in occasione dei lavori di restauro nella suddetta chiesa, viene trasferito nella parrocchiale e lì definitivamente dimenticato.
Nel luglio del 2008, per interessamento del parroco, don Giampietro Corbetta, la tela è inviata al restauro presso il Laboratorio S. Gregorio di Busto Arsizio, sotto la supervisione della dottoressa Isabella Marelli, funzionaria della Sovrintendenza al patrimonio artistico della Regione Lombardia.
Oggi il quadro fa bella mostra di sé nella chiesa parrocchiale, sulla parete di sinistra.
Ora anche noi possiamo fruire di un’opera di grande bellezza; da alcuni, però, nel passato, è stata considerata di poco pregio, tanto che il parroco don Rabolini scriveva sconsolato nel “Chronicus” del 1936: “... si capisce che il pittore Biagio Bellotti ha dovuto dipingere il quadro con pochissima cura, o per mancanza di tempo o per scarsa retribuzione ...”.
A maggio del 2009 iniziano i lavori per il restauro e il risanamento conservativo della chiesa parrocchiale: viene rifatto il pavimento con il nuovo riscaldamento radiante, tolta la cancellata all'ingresso, pavimentata la sacrestia, realizzata la nuova penitenzieria e una nuova scala in ferro di accesso al campanile, posata la protezione anti piccioni per la cella campanaria, consolidato e messo in sicurezza il muro della cappella a destra dell’ingresso.
Nell’Archivio parrocchiale è custodita una ricevuta autografa del pittore Biagio Bellotti, per la cifra di centocinquanta lire milanesi, rilasciata al parroco don Annibale Rosnati in data 5 agosto 1765.
Nel 1935, il parroco, don Ambrogio Rabolini, scopre negli archivi la ricevuta del Bellotti e si preoccupa subito di metterne al corrente la Curia Arcivescovile, annotando che il quadro “... fu sempre trascurato, esposto alla polvere della strada provinciale e alla luce diretta del sole di mezzogiorno e soprattutto in pericolo di essere trafugato quando si verrà a sapere il suo valore e pregio artistico ...”.
Don Rabolini, con una lettera del 24 aprile 1935, indirizzata alla Curia Arcivescovile, chiede di poter restaurare la tela e di collocarla nella chiesa parrocchiale.
Il segretario Vincenzo Negri, a nome della Curia, in data 13 giugno 1935, prontamente risponde, pregando il parroco di custodirla in altro luogo “... che dia tutti gli affidamenti necessari ...”.
Il quadro viene allora rimosso e mandato a restaurare, forse da un restauratore di Legnano (Turri?), ma quando torna in parrocchia, il seno nudo “della figura grande di sinistra” è dissimulato da un drappeggio azzurrino che copre le nudità.
Il quadro, comunque, è nuovamente collocato nella nicchia che sovrasta l’altare centrale della chiesa dell’Angelo, ancora in un ambiente inadatto, tanto che nel 1977 il parroco don Celestino Cazzaniga decide un nuovo restauro presso il pittore – restauratore Eugenio Sartorio di Somma Lombardo.
Egli, nella relazione del lavoro eseguito, dichiara che l’opera di Biagio Bellotti “... si può collocare fra gli ottimi dipinti di scuola classica antica nel campo del sacro...”.
Naturalmente il restauratore Sartorio porta il dipinto alla stesura originale “... eliminando il manto che copre la figura grande di sinistra ... con lo scopo evidente di nascondere le nudità della stessa figura...”.
Il quadro, però, ritorna nuovamente alla chiesa dell’Angelo sino al 1978, quando, in occasione dei lavori di restauro nella suddetta chiesa, viene trasferito nella parrocchiale e lì definitivamente dimenticato.
Nel luglio del 2008, per interessamento del parroco, don Giampietro Corbetta, la tela è inviata al restauro presso il Laboratorio S. Gregorio di Busto Arsizio, sotto la supervisione della dottoressa Isabella Marelli, funzionaria della Sovrintendenza al patrimonio artistico della Regione Lombardia.
Oggi il quadro fa bella mostra di sé nella chiesa parrocchiale, sulla parete di sinistra.
Ora anche noi possiamo fruire di un’opera di grande bellezza; da alcuni, però, nel passato, è stata considerata di poco pregio, tanto che il parroco don Rabolini scriveva sconsolato nel “Chronicus” del 1936: “... si capisce che il pittore Biagio Bellotti ha dovuto dipingere il quadro con pochissima cura, o per mancanza di tempo o per scarsa retribuzione ...”.
A maggio del 2009 iniziano i lavori per il restauro e il risanamento conservativo della chiesa parrocchiale: viene rifatto il pavimento con il nuovo riscaldamento radiante, tolta la cancellata all'ingresso, pavimentata la sacrestia, realizzata la nuova penitenzieria e una nuova scala in ferro di accesso al campanile, posata la protezione anti piccioni per la cella campanaria, consolidato e messo in sicurezza il muro della cappella a destra dell’ingresso.
Fasi di costruzione della chiesa
Durante i lavori relativi al nuovo pavimento della chiesa sono fatti importanti ritrovamenti archeologici.
Una delle prime cappelle o Oratorio di campagna è quella delimitata dai muri in pietra, risalente alla seconda metà del 1500 (1566?), quando le sepolture avvenivano davanti alla chiesa.
Si sono ritrovati un fondo cementizio, probabile resto della pavimentazione, e un muretto in pietra (sulla sinistra, di fronte all'altare) che potrebbe segnare l’asse di chiusura della cappella o semplicemente essere un muretto esterno che univa l’Oratorio alla strada.
Si sono ritrovati un fondo cementizio, probabile resto della pavimentazione, e un muretto in pietra (sulla sinistra, di fronte all'altare) che potrebbe segnare l’asse di chiusura della cappella o semplicemente essere un muretto esterno che univa l’Oratorio alla strada.
La fase successiva che siamo riusciti a ricostruire riguarda una chiesa sicuramente ampliata (1596?), che si appoggia su una parte della vecchia muratura.
Viene costruito un nuovo presbiterio e viene ampliata l’aula con i muri a destra e a sinistra che continuano fino al fondo della chiesa attuale.
Sulla sinistra si vede un locale addossato al presbiterio, probabilmente utilizzato come sacrestia.
Tutte queste murature sono leggermente disassate rispetto all'asse della chiesa attuale, sono tutte del medesimo spessore e presentano degli elementi (lesene) che si ripetono e rientri di ugual misura tra presbiterio e aula, che fanno credere poter appartenere allo stesso periodo.
Al centro dell’aula c’erano due sepolcri, risalenti a dopo il 1620, cioè a quando si cominciò a seppellire i defunti in chiesa.
I sepolcri sono stati rinvenuti parzialmente riempiti di terra, con pareti interne intonacate e voltino in mattoni.
Viene costruito un nuovo presbiterio e viene ampliata l’aula con i muri a destra e a sinistra che continuano fino al fondo della chiesa attuale.
Sulla sinistra si vede un locale addossato al presbiterio, probabilmente utilizzato come sacrestia.
Tutte queste murature sono leggermente disassate rispetto all'asse della chiesa attuale, sono tutte del medesimo spessore e presentano degli elementi (lesene) che si ripetono e rientri di ugual misura tra presbiterio e aula, che fanno credere poter appartenere allo stesso periodo.
Al centro dell’aula c’erano due sepolcri, risalenti a dopo il 1620, cioè a quando si cominciò a seppellire i defunti in chiesa.
I sepolcri sono stati rinvenuti parzialmente riempiti di terra, con pareti interne intonacate e voltino in mattoni.
Nel 1651 la chiesa viene ampliata e poi solennemente consacrata.
Le dimensioni corrispondono in larghezza a quelle che vediamo, con un altare maggiore, l’altare di S. Margherita (poi, dal 1674, di S. Macario, con le murature che vediamo), l’altare della Beata Vergine Addolorata, una cappella uso Battistero, il campanile. Durante questo periodo, l’usanza di seppellire i morti all'interno della chiesa determina la costruzione di altri sepolcri, per un totale di cinque, di cui uno, quello centrale, adibito alla sepoltura dei preti.
I sepolcri hanno dimensioni di metri 2,5 per metri 1,8 per metri 1,8 di altezza, in mattoni con una botola superiore.
Anche questi sepolcri sono stati rinvenuti pieni di terra per metà, tranne il sepolcro dei sacerdoti che, ad una indagine con videocamera, presenta resti di ossa, frammenti di legno (probabilmente delle casse) e brandelli di stoffa azzurra (probabilmente delle stole o delle vesti sacerdotali).
Sicuramente don Giovanni Ambrogio Magnoli, in carica dal 1660 al 1670, morto di difterite, fu sepolto qui.
Le dimensioni corrispondono in larghezza a quelle che vediamo, con un altare maggiore, l’altare di S. Margherita (poi, dal 1674, di S. Macario, con le murature che vediamo), l’altare della Beata Vergine Addolorata, una cappella uso Battistero, il campanile. Durante questo periodo, l’usanza di seppellire i morti all'interno della chiesa determina la costruzione di altri sepolcri, per un totale di cinque, di cui uno, quello centrale, adibito alla sepoltura dei preti.
I sepolcri hanno dimensioni di metri 2,5 per metri 1,8 per metri 1,8 di altezza, in mattoni con una botola superiore.
Anche questi sepolcri sono stati rinvenuti pieni di terra per metà, tranne il sepolcro dei sacerdoti che, ad una indagine con videocamera, presenta resti di ossa, frammenti di legno (probabilmente delle casse) e brandelli di stoffa azzurra (probabilmente delle stole o delle vesti sacerdotali).
Sicuramente don Giovanni Ambrogio Magnoli, in carica dal 1660 al 1670, morto di difterite, fu sepolto qui.
Nel 1832 risulta l'ampliamento, con l'aggiunta dei sedili del coro e di una nuova sacrestia.
Del 1870 risulta essere la costruzione del nuovo campanile, a seguito del crollo del preesistente, causato da un fulmine.
Del 1870 risulta essere la costruzione del nuovo campanile, a seguito del crollo del preesistente, causato da un fulmine.
Nel 1902 abbiamo l’ultimo grande ampliamento che porta la chiesa alle dimensioni attuali, con la demolizione dei muri rinvenuti. Prima di procedere all'ampliamento, erano stati chiesti i permessi per l’occupazione della via Turbigo (oggi via XXII Marzo) per circa metri 2,60.
Infatti, a ridosso dei muri della chiesa precedente è stato trovato il selciato con ciottoli bianchi e neri della carrabile (rizzata originale di fine 1800).
Infatti, a ridosso dei muri della chiesa precedente è stato trovato il selciato con ciottoli bianchi e neri della carrabile (rizzata originale di fine 1800).
Altare Maggiore
Il curato don Ambrogio Magnoli scrive nelle sue note del 1666: “Il tabernacolo della nostra chiesa fu perfezionato nel mese di genaro dell’anno 1656 et condotto nell’istesso mese da Milano. La fattura et intaglio ascende di spesa ala soma di lire 850 in circa. L’anno 1661 alli 19 dicembre si ricondusse da Legnano nella nostra chiesa indorato”.
Questo infatti risulta anche dalla scritta sul retro in alto dell’altare: “Ego Joannes de Salmoiraghis de Legnanno decoravi anno 1661”.
“La spesa dell’indoratura ascende quasi alla somma lire mille, o poco meno, compresovi anche altri doi angeli fatti colorire et indorare d’intanto in tanto in parte”.
Gli angeli citati sono i due posti ai lati dell’altare che fanno da portacandele ancora oggi.
Nell’Aprile del 1811 il parroco Giacomo Macchi e gli amministratori della chiesa parrocchiale inviano richiesta di autorizzazione, al Ministero del Culto, per l’erezione di un nuovo altare maggiore, in marmo, allegando il precontratto con la ditta Buzzi (6000 lire, di Milano), indicando che era necessaria l’alienazione di uno stabile e motivandola con: “trovasi l’altare della Cappella Maggiore molto tarlato, ruinoso, et indecente...”.
Detto contratto prevedeva pagamento in quattro rate ed esecuzione tra l’agosto 1811 e la Pasqua 1813.
Il delegato del Ministero del Culto (don Redaelli, curato di Caiello), respinge la richiesta: “non avendo rilevato del tutto indecente l ‘attuale altare di legno, non giudico potersi adottare l’estremo progetto, lasciando luogo invece che sopravvenendo più ubertose annate, e quindi più copiose oblazioni, si possa mandare all’effetto l’ideata opera senza intaccare la sostanza stabile di quella chiesa”.
Nel 1852 venne ritenuto troppo deteriorato e il nuovo parroco don Pietro Perabò, considerando non conveniente il restauro per il quale don Novelli, morto nel 1849, aveva lasciato 2000 lire con un legato, ne decise la rimozione collocandolo nell’ambiente a destra dell’ ingresso, di fronte al battistero ed era utilizzato come altare a tutti gli effetti.
Infatti nella relazione del 1897 del parroco don Oliva per la successiva visita pastorale dichiarava che gli altari erano 4 e cioè: Altare Maggiore (il nuovo in marmo), San Ma cario, Vergine Addolorata, Purificazione (il vecchio in legno intarsiato).
In effetti si è potuto verificarne l’impronta sulla parete di fondo quando è stato smantellato a metà degli anni ‘90 l’armadio custodia dello stendardo.
Il 30 luglio del 1854 venne collaudato quindi il nuovo altare, in marmo di Carrara, costato 2018 lire austriache, realizzato dall’artista Giovanni Battista Bottinelli.
L’altare in marmo rimane in uso fino al 1904, quando in concomitanza con l’ampliamento della chiesa, l’antico altare in legno viene finalmente fatto restaurare dagli Artigianelli di Monza (1902-1904). L’altare in marmo sarà quindi trasferito nella chiesa degli Angeli Custodi.
Nell’occasione del restauro, il vecchio altare viene anche ampliato con l’aggiunta di 2 gradini inferiori e con un nuovo tabernacolo.
La spesa per il restauro, forte per quei tempi, fu sostenuta interamente da monsignor Mantegazza e, a ricordo di ciò, sul retro dell’altare è stata posta la seguente scritta:
EPISCOPI FAMAUGUSTANI ANGELI M. E. MARCH.BUS MERAVIGLIA MANTEGAZZA EXPENSIS PIA ARTIFICUM CONSOCIATIO MODOETIE RURSUS INSTAURAVIT ET CAROLUS CAVALLOTTI DE CORAVIT ANNO 1902
(A spese del Vescovo di Famagosta Angelo M. dei marchesi Meraviglia Mantegazza, la Pia società degli Artigianelli di Monza nuovamente restaurò e Carlo Cavallotti decorò nell’anno 1902)
L’altare rappresenta una facciata molto articolata di una chiesa del 1600, ricca di intagli con motivi di foglie, nicchie e statue, il tutto dorato e dipinto.
La porta del nuovo tabernacolo (1904), in metallo dorato, rappresenta in rilievo la Pietà, mentre il vecchio, ancora esistente e con la chiave originale inserita, riporta una statuetta di Gesù Salvatore.
Nella nicchia principale in alto un bellissimo gruppo di statue rappresentanti la presentazione al tempio; in alto sulla cupola la statua del Cristo risorto; nelle nicchie laterali statue di santi, religiosi e personaggi biblici.
Molte figure angeliche, intere o a visi sporgenti, ornano le parti superiori e laterali dell’altare. Ai lati ci sono due grandi figure di angeli (coeve all’altare) con funzione di portacandelabro.
Il Paliotto è stato eseguito nel 1907 dagli Artigianelli di Monza e indorato da Carlo Cavallotti.
Rappresenta il sacerdote Melchisedech che offre il pane e il vino, perché servano di sacrificio pacifico in rendimento di grazie per la vittoria ottenuta da Abramo sui nemici (Cap. XV della Genesi).
Le statue ai lati del paliotto raffigurano una il re Davide e l’altra un profeta.
La statua alla destra del paliotto è stata trafugata negli anni ‘90, perciò sostituita con un’altra fatta eseguire da scultori della Val Gardena.
L’attuale mensa rispetta invece i dettami della nuova liturgia (Concilio Vaticano II), infatti si trova staccata dal tabernacolo/altare con l’offìciante rivolto verso il popolo.
E’ costituita da un piano supportato da angioletti indorati; l’opera, che ben si intona con l’altare maggiore, è stata donata dal sacerdote concittadino don Michele Giuseppe Sironi, che era prevosto alla parrocchia della S.S. Trinità di Milano, alla comunità di San Macario negli anni settanta.
Questo infatti risulta anche dalla scritta sul retro in alto dell’altare: “Ego Joannes de Salmoiraghis de Legnanno decoravi anno 1661”.
“La spesa dell’indoratura ascende quasi alla somma lire mille, o poco meno, compresovi anche altri doi angeli fatti colorire et indorare d’intanto in tanto in parte”.
Gli angeli citati sono i due posti ai lati dell’altare che fanno da portacandele ancora oggi.
Nell’Aprile del 1811 il parroco Giacomo Macchi e gli amministratori della chiesa parrocchiale inviano richiesta di autorizzazione, al Ministero del Culto, per l’erezione di un nuovo altare maggiore, in marmo, allegando il precontratto con la ditta Buzzi (6000 lire, di Milano), indicando che era necessaria l’alienazione di uno stabile e motivandola con: “trovasi l’altare della Cappella Maggiore molto tarlato, ruinoso, et indecente...”.
Detto contratto prevedeva pagamento in quattro rate ed esecuzione tra l’agosto 1811 e la Pasqua 1813.
Il delegato del Ministero del Culto (don Redaelli, curato di Caiello), respinge la richiesta: “non avendo rilevato del tutto indecente l ‘attuale altare di legno, non giudico potersi adottare l’estremo progetto, lasciando luogo invece che sopravvenendo più ubertose annate, e quindi più copiose oblazioni, si possa mandare all’effetto l’ideata opera senza intaccare la sostanza stabile di quella chiesa”.
Nel 1852 venne ritenuto troppo deteriorato e il nuovo parroco don Pietro Perabò, considerando non conveniente il restauro per il quale don Novelli, morto nel 1849, aveva lasciato 2000 lire con un legato, ne decise la rimozione collocandolo nell’ambiente a destra dell’ ingresso, di fronte al battistero ed era utilizzato come altare a tutti gli effetti.
Infatti nella relazione del 1897 del parroco don Oliva per la successiva visita pastorale dichiarava che gli altari erano 4 e cioè: Altare Maggiore (il nuovo in marmo), San Ma cario, Vergine Addolorata, Purificazione (il vecchio in legno intarsiato).
In effetti si è potuto verificarne l’impronta sulla parete di fondo quando è stato smantellato a metà degli anni ‘90 l’armadio custodia dello stendardo.
Il 30 luglio del 1854 venne collaudato quindi il nuovo altare, in marmo di Carrara, costato 2018 lire austriache, realizzato dall’artista Giovanni Battista Bottinelli.
L’altare in marmo rimane in uso fino al 1904, quando in concomitanza con l’ampliamento della chiesa, l’antico altare in legno viene finalmente fatto restaurare dagli Artigianelli di Monza (1902-1904). L’altare in marmo sarà quindi trasferito nella chiesa degli Angeli Custodi.
Nell’occasione del restauro, il vecchio altare viene anche ampliato con l’aggiunta di 2 gradini inferiori e con un nuovo tabernacolo.
La spesa per il restauro, forte per quei tempi, fu sostenuta interamente da monsignor Mantegazza e, a ricordo di ciò, sul retro dell’altare è stata posta la seguente scritta:
EPISCOPI FAMAUGUSTANI ANGELI M. E. MARCH.BUS MERAVIGLIA MANTEGAZZA EXPENSIS PIA ARTIFICUM CONSOCIATIO MODOETIE RURSUS INSTAURAVIT ET CAROLUS CAVALLOTTI DE CORAVIT ANNO 1902
(A spese del Vescovo di Famagosta Angelo M. dei marchesi Meraviglia Mantegazza, la Pia società degli Artigianelli di Monza nuovamente restaurò e Carlo Cavallotti decorò nell’anno 1902)
L’altare rappresenta una facciata molto articolata di una chiesa del 1600, ricca di intagli con motivi di foglie, nicchie e statue, il tutto dorato e dipinto.
La porta del nuovo tabernacolo (1904), in metallo dorato, rappresenta in rilievo la Pietà, mentre il vecchio, ancora esistente e con la chiave originale inserita, riporta una statuetta di Gesù Salvatore.
Nella nicchia principale in alto un bellissimo gruppo di statue rappresentanti la presentazione al tempio; in alto sulla cupola la statua del Cristo risorto; nelle nicchie laterali statue di santi, religiosi e personaggi biblici.
Molte figure angeliche, intere o a visi sporgenti, ornano le parti superiori e laterali dell’altare. Ai lati ci sono due grandi figure di angeli (coeve all’altare) con funzione di portacandelabro.
Il Paliotto è stato eseguito nel 1907 dagli Artigianelli di Monza e indorato da Carlo Cavallotti.
Rappresenta il sacerdote Melchisedech che offre il pane e il vino, perché servano di sacrificio pacifico in rendimento di grazie per la vittoria ottenuta da Abramo sui nemici (Cap. XV della Genesi).
Le statue ai lati del paliotto raffigurano una il re Davide e l’altra un profeta.
La statua alla destra del paliotto è stata trafugata negli anni ‘90, perciò sostituita con un’altra fatta eseguire da scultori della Val Gardena.
L’attuale mensa rispetta invece i dettami della nuova liturgia (Concilio Vaticano II), infatti si trova staccata dal tabernacolo/altare con l’offìciante rivolto verso il popolo.
E’ costituita da un piano supportato da angioletti indorati; l’opera, che ben si intona con l’altare maggiore, è stata donata dal sacerdote concittadino don Michele Giuseppe Sironi, che era prevosto alla parrocchia della S.S. Trinità di Milano, alla comunità di San Macario negli anni settanta.
Altare dell’Addolorata
II primo altare eretto e dedicato alla Beatissima Vergine dei Sette Dolori fu quello posto nella cappella a destra, dirimpetto a quello dedicato a Santa Margherita, nell’anno 1669 quando venne istituita anche la Confraternita relativa.
II parroco don Pietro Aresino in una delle sue prime note registra: “Adì 3 Marzo 1669 fu eretta nella nostra parrocchia delle Cassine del Manzo la Confraternita della B.ma V. de Sette Dolori, aggregata alla primaria De RR. PP. Serviti in Roma, approvata dall’Ordinario. Che però nel suddetto giorno l’Immagine della B.V. fatta di rilevo fu solennemente benedetta dal M.to e Ill.mo R.do Sig.re Bernardo Soldano prevosto, e Vicario Foraneo d’Arsago, coll’assistenza di molti RR. SS. Curati, accompagnata dalla Musica, e da una compagnia de soldati formata dalli huomini della cura. Parimente nel giorno seguente con altra simile assistenza fu solennemente collocata la detta Imagine, sopra l’Altare già fabricato, nella niccia preparatavi, dal Reverendo Sig.r Ferrario Curato di Vizzola. Si recitò anche un Sermone da un Padre Capucino nel suddetto primo giorno, che fu la prima Domenica di Marzo.
Adì 26 ottobre 1670 si fece nuova festa solenne con la compagnia de soldati, come sopra a cagione delle Indulgenze da Papa Clemente Decimo alla detta Confraternita particolarmente concesse”.
Negli atti della visita Vicariale di mons. Vitaliano Oldrati del 19 marzo 1671 troviamo: ‘‘Altare Beatissime Virginis Maria Septem Dolorum à parte epistolas, ad quod nullum onus missarum, aliquando tantum Rev. Parochus in eo messa summa facit ex devotione confratrum confraternitibus B. Maria Septim Dolorum ad altare predictum erectum front visum fuit ex litteris eiusdem erectionis a parocho exhibitis...” ovvero: un altare dal lato dell’Epistola dedicato alla Beatissima Vergine Maria dei Sette Dolori, al quale non vi è alcun onere di messe, al quale talvolta il rev. Parroco celebra una messa per devozione dei confratelli della confraternita della Beatissima Maria dei sette Dolori.
Naturalmente, non si trattava di una statua della Madonna, ma di una “immagine in rilievo”.
Dal 1674, con l’arrivo della reliquia di San Macario, le elemosine furono estremamente generose e con esse, già nel 1675, fu acquistata l’ancona dell’altare di San Macario con la tela di Federico Bianchi e tanti altri preziosi oggetti rituali e paramenti.
Con l’abbondanza delle offerte, quindi, nell’ Ottobre del 1676 venne acquistata e messa in opera la nuova ancona dell’altare della Madonna dei sette Dolori realizzata nello stesso stile e pomposità di quella di San Macario situata dirimpetto. Solo nel 1678 viene inserita la nuova statua, che noi oggi ancora vediamo, al posto dell’ immagine in rilievo precedente.
La statua di legno massiccio scolpito, stuccato e dipinto, con ornamenti dorati alle vesti, è un’autentica opera barocca di notevole e appassionata espressività.
Dallo stato patrimoniale del 1678 si legge: “Altare della Beatissima Vergine compresi 8 candelieri grandi argentati e 10 piccioli, n° 14 tonde, sopra quali sono riposti gli orcioli d’argento, n° 4 angioli che sostengono le candele, ...e croci d’altare, et altre cose scudi 4700”. La cappella si trova ora a sinistra tra la base del campanile e il pilastro con il pulpito.
Fino agli anni ‘90 era dotato di una balaustra di marmo nero da Como; per gli accessi al centro e ai lati c’erano cancelletti in ferro battuto con ornamenti decorativi in ferro e ottone.
Ai lati dell’altare, una coppia di portalampade pendono dall’alto lungo le due colonne.
L’ancona, in legno, è in parte dipinta e in parte indorata; sulla sommità ci sono due angeli in legno dorati che sorreggono una croce di legno dipinta e indorata. Altre figure di angeli su tutta l’ancona portano e mostrano gli strumenti usati per la passione di Cristo.
Al centro dell’ancona la nicchia, con vetro di protezione, contiene la statua lignea, stuccata e dipinta della Vergine Addolorata.
Sul capo della statua nel 1947 fu posta una corona d’oro con pietre incastonate.
Purtroppo detta corona insieme alla Via Crucis e ad altri ornamenti, viene trafugata nel 1998.
Nella nicchia fino a qualche anno fa c’erano: in alto due angioletti dipinti che sorreggevano una corona e altri due in basso vicino ai piedi della Madonna.
Questi quattro angioletti, indorati, sono stati usati in coppie a reggere un ambone e un ripiano di tavolino che serve per le cerimonie liturgiche.
Immediatamente sotto la nicchia della statua si trova un “Cristo morto con putti” dipinto su tavola.
Ai lati dell’altare si trovano due statue dei profeti Isaia e Geremia, a grandezza naturale, in legno stuccato e dipinto e con dorature sulle vesti.
Nel 1954 don Celestino Cazzaniga fece rinnovare la mensa dell’altare da artisti della Val Gardena (Stuflesser di Ortisei).
Su tutta la parete che fa da sfondo all’altare e all’ancona, sopra descritta, nel 1904 è stato dipinto uno splendido drappeggio di color bianco argento con orlature ornamentali in rosso.
II parroco don Pietro Aresino in una delle sue prime note registra: “Adì 3 Marzo 1669 fu eretta nella nostra parrocchia delle Cassine del Manzo la Confraternita della B.ma V. de Sette Dolori, aggregata alla primaria De RR. PP. Serviti in Roma, approvata dall’Ordinario. Che però nel suddetto giorno l’Immagine della B.V. fatta di rilevo fu solennemente benedetta dal M.to e Ill.mo R.do Sig.re Bernardo Soldano prevosto, e Vicario Foraneo d’Arsago, coll’assistenza di molti RR. SS. Curati, accompagnata dalla Musica, e da una compagnia de soldati formata dalli huomini della cura. Parimente nel giorno seguente con altra simile assistenza fu solennemente collocata la detta Imagine, sopra l’Altare già fabricato, nella niccia preparatavi, dal Reverendo Sig.r Ferrario Curato di Vizzola. Si recitò anche un Sermone da un Padre Capucino nel suddetto primo giorno, che fu la prima Domenica di Marzo.
Adì 26 ottobre 1670 si fece nuova festa solenne con la compagnia de soldati, come sopra a cagione delle Indulgenze da Papa Clemente Decimo alla detta Confraternita particolarmente concesse”.
Negli atti della visita Vicariale di mons. Vitaliano Oldrati del 19 marzo 1671 troviamo: ‘‘Altare Beatissime Virginis Maria Septem Dolorum à parte epistolas, ad quod nullum onus missarum, aliquando tantum Rev. Parochus in eo messa summa facit ex devotione confratrum confraternitibus B. Maria Septim Dolorum ad altare predictum erectum front visum fuit ex litteris eiusdem erectionis a parocho exhibitis...” ovvero: un altare dal lato dell’Epistola dedicato alla Beatissima Vergine Maria dei Sette Dolori, al quale non vi è alcun onere di messe, al quale talvolta il rev. Parroco celebra una messa per devozione dei confratelli della confraternita della Beatissima Maria dei sette Dolori.
Naturalmente, non si trattava di una statua della Madonna, ma di una “immagine in rilievo”.
Dal 1674, con l’arrivo della reliquia di San Macario, le elemosine furono estremamente generose e con esse, già nel 1675, fu acquistata l’ancona dell’altare di San Macario con la tela di Federico Bianchi e tanti altri preziosi oggetti rituali e paramenti.
Con l’abbondanza delle offerte, quindi, nell’ Ottobre del 1676 venne acquistata e messa in opera la nuova ancona dell’altare della Madonna dei sette Dolori realizzata nello stesso stile e pomposità di quella di San Macario situata dirimpetto. Solo nel 1678 viene inserita la nuova statua, che noi oggi ancora vediamo, al posto dell’ immagine in rilievo precedente.
La statua di legno massiccio scolpito, stuccato e dipinto, con ornamenti dorati alle vesti, è un’autentica opera barocca di notevole e appassionata espressività.
Dallo stato patrimoniale del 1678 si legge: “Altare della Beatissima Vergine compresi 8 candelieri grandi argentati e 10 piccioli, n° 14 tonde, sopra quali sono riposti gli orcioli d’argento, n° 4 angioli che sostengono le candele, ...e croci d’altare, et altre cose scudi 4700”. La cappella si trova ora a sinistra tra la base del campanile e il pilastro con il pulpito.
Fino agli anni ‘90 era dotato di una balaustra di marmo nero da Como; per gli accessi al centro e ai lati c’erano cancelletti in ferro battuto con ornamenti decorativi in ferro e ottone.
Ai lati dell’altare, una coppia di portalampade pendono dall’alto lungo le due colonne.
L’ancona, in legno, è in parte dipinta e in parte indorata; sulla sommità ci sono due angeli in legno dorati che sorreggono una croce di legno dipinta e indorata. Altre figure di angeli su tutta l’ancona portano e mostrano gli strumenti usati per la passione di Cristo.
Al centro dell’ancona la nicchia, con vetro di protezione, contiene la statua lignea, stuccata e dipinta della Vergine Addolorata.
Sul capo della statua nel 1947 fu posta una corona d’oro con pietre incastonate.
Purtroppo detta corona insieme alla Via Crucis e ad altri ornamenti, viene trafugata nel 1998.
Nella nicchia fino a qualche anno fa c’erano: in alto due angioletti dipinti che sorreggevano una corona e altri due in basso vicino ai piedi della Madonna.
Questi quattro angioletti, indorati, sono stati usati in coppie a reggere un ambone e un ripiano di tavolino che serve per le cerimonie liturgiche.
Immediatamente sotto la nicchia della statua si trova un “Cristo morto con putti” dipinto su tavola.
Ai lati dell’altare si trovano due statue dei profeti Isaia e Geremia, a grandezza naturale, in legno stuccato e dipinto e con dorature sulle vesti.
Nel 1954 don Celestino Cazzaniga fece rinnovare la mensa dell’altare da artisti della Val Gardena (Stuflesser di Ortisei).
Su tutta la parete che fa da sfondo all’altare e all’ancona, sopra descritta, nel 1904 è stato dipinto uno splendido drappeggio di color bianco argento con orlature ornamentali in rosso.
Altare di San Macario
E’ stato realizzato nella primavera del 1674 per accogliere l’urna con le spoglie del Santo Martire.
Nella relazione del parroco di allora don Pietro Aresino si legge: “Compare perfezzionata l'ancona, e quadro del Santo dipinto dal Sig.r Federico Bianchi Milanese colla mercede di cento Filippi”.
Originariamente si trovava all'ingresso della chiesa sul lato sinistro (in parte evangelii).
Dopo l’ampliamento della chiesa del 1902/1904 fu spostata sulla parete di fondo del transetto di destra.
Fino agli anni '90 era recintato da una balaustra di marmo nero da Como che, con il pavimento della Cappella, era costato allora 1056 lire.
Si entrava al centro e ai lati attraverso cancelletti in ferro battuto con ornamenti decorativi in ferro e ottone (corona e palme).
L’ancona in legno è in parte dipinta e in parte dorata; sulla sommità ci sono due angeli che sostengono una corona e la palma del martirio; poco più in basso, su una specie di stemma di colore rosso, troviamo la scritta:
MIRABILIS DEUS IN SANCTIS SUIS
(Dio è meraviglioso nei suoi santi)
Altre figure di angeli, profeti e motivi ornamentali di gusto barocco sono collocate lateralmente sull'ancona.
In alto, al centro dell’ancona, troviamo il dipinto della “Gloria di San Macario” di Federico Bianchi.
Nella relazione del parroco di allora don Pietro Aresino si legge: “Compare perfezzionata l'ancona, e quadro del Santo dipinto dal Sig.r Federico Bianchi Milanese colla mercede di cento Filippi”.
Originariamente si trovava all'ingresso della chiesa sul lato sinistro (in parte evangelii).
Dopo l’ampliamento della chiesa del 1902/1904 fu spostata sulla parete di fondo del transetto di destra.
Fino agli anni '90 era recintato da una balaustra di marmo nero da Como che, con il pavimento della Cappella, era costato allora 1056 lire.
Si entrava al centro e ai lati attraverso cancelletti in ferro battuto con ornamenti decorativi in ferro e ottone (corona e palme).
L’ancona in legno è in parte dipinta e in parte dorata; sulla sommità ci sono due angeli che sostengono una corona e la palma del martirio; poco più in basso, su una specie di stemma di colore rosso, troviamo la scritta:
MIRABILIS DEUS IN SANCTIS SUIS
(Dio è meraviglioso nei suoi santi)
Altre figure di angeli, profeti e motivi ornamentali di gusto barocco sono collocate lateralmente sull'ancona.
In alto, al centro dell’ancona, troviamo il dipinto della “Gloria di San Macario” di Federico Bianchi.
Tela della gloria di San Macario
La tela è stata dipinta nel 1674 da Federico Bianchi, e rappresenta la gloria di San Macario in cielo.
Il professor Giuseppe Aspesi così la descrive: “Il Santo - rappresentato in primo piano in basso di profilo solo un poco a sinistra - tende la destra giù verso i fedeli che tanto venerano le sue reliquie e volge il viso in alto a destra verso Santa Margherita (anch’essa protettrice della parrocchia), per impetrare insieme grazie e benedizioni sul paese. In alto, al centro, la Madonna mira benevola la scena, mentre regge Gesù Bambino che, ritto in piedi su una nuvoletta, apre le braccia: la destra verso San Carlo che lo contempla estatico, e la sinistra verso la Santa. Questa, stringendogli la manina con la destra delicatamente, lo invita ad accogliere la supplica di San Macario, che gli indica con la sinistra. Il dipinto e tutto un intreccio di gesti e di sguardi e la luce, che sembra irradiare dal Bambino, va appunto a colpire e a mettere in evidenza visi e braccia”.
La presenza di Santa Margherita nella tela si pensa sia legata al fatto che San Macario al suo arrivo ha “rubato” l’altare alla Santa; è possibile che al pittore sia stato richiesto questo tipo di rappresentazione forse per farsi perdonare dell’esproprio!
Sotto il dipinto, immediatamente sopra l’altare, si trova la nicchia contenente la preziosa urna con il corpo di San Macario. Normalmente la nicchia e chiusa da una paratia mobile con motivi ornamentali identici al resto dell’ancona; la nicchia viene aperta, esponendo l’urna, soltanto nel giorno della festa patronale e in occasione di feste particolari.
Ai lati dell’ancona si trova una coppia di portalampade pendenti dall’alto lungo le due colonne.
Ai lati dell’urna di San Macario si trovano due statue di angeli, a grandezza naturale, in legno stuccato in parte dipinti e con le vesti dorate, che tengono tra le mani, ognuno, un turibolo incensatorio.
Questi due angeli sono collocati armonicamente e simmetricamente a riscontro ai lati dell’ancona di San Macario, proprio come i due profeti ai lati dell’ancona dell’Addolorata.
Anche queste statue sono notevoli per scioltezza d’impianto ed eloquenza di gesti.
Su tutta la parete che fa da sfondo all’altare e all’ancona, nel 1904 è stato dipinto uno splendido drappeggio di color giallo oro con orlature ornamentali in rosso. Fino al 1954 sulla frontale della mensa era applicato un paliotto in argento a sbalzo con motivazioni floreali e con una doppia M stilizzata al centro (Macario Martire); questo paliotto si trova ora appeso su una parete della sacrestia. Al posto della vecchia mensa don Celestino Cazzaniga fece relizzare quella nuova da artisti della Val Gardena (Stuflesser di Ortisei).
Il professor Giuseppe Aspesi così la descrive: “Il Santo - rappresentato in primo piano in basso di profilo solo un poco a sinistra - tende la destra giù verso i fedeli che tanto venerano le sue reliquie e volge il viso in alto a destra verso Santa Margherita (anch’essa protettrice della parrocchia), per impetrare insieme grazie e benedizioni sul paese. In alto, al centro, la Madonna mira benevola la scena, mentre regge Gesù Bambino che, ritto in piedi su una nuvoletta, apre le braccia: la destra verso San Carlo che lo contempla estatico, e la sinistra verso la Santa. Questa, stringendogli la manina con la destra delicatamente, lo invita ad accogliere la supplica di San Macario, che gli indica con la sinistra. Il dipinto e tutto un intreccio di gesti e di sguardi e la luce, che sembra irradiare dal Bambino, va appunto a colpire e a mettere in evidenza visi e braccia”.
La presenza di Santa Margherita nella tela si pensa sia legata al fatto che San Macario al suo arrivo ha “rubato” l’altare alla Santa; è possibile che al pittore sia stato richiesto questo tipo di rappresentazione forse per farsi perdonare dell’esproprio!
Sotto il dipinto, immediatamente sopra l’altare, si trova la nicchia contenente la preziosa urna con il corpo di San Macario. Normalmente la nicchia e chiusa da una paratia mobile con motivi ornamentali identici al resto dell’ancona; la nicchia viene aperta, esponendo l’urna, soltanto nel giorno della festa patronale e in occasione di feste particolari.
Ai lati dell’ancona si trova una coppia di portalampade pendenti dall’alto lungo le due colonne.
Ai lati dell’urna di San Macario si trovano due statue di angeli, a grandezza naturale, in legno stuccato in parte dipinti e con le vesti dorate, che tengono tra le mani, ognuno, un turibolo incensatorio.
Questi due angeli sono collocati armonicamente e simmetricamente a riscontro ai lati dell’ancona di San Macario, proprio come i due profeti ai lati dell’ancona dell’Addolorata.
Anche queste statue sono notevoli per scioltezza d’impianto ed eloquenza di gesti.
Su tutta la parete che fa da sfondo all’altare e all’ancona, nel 1904 è stato dipinto uno splendido drappeggio di color giallo oro con orlature ornamentali in rosso. Fino al 1954 sulla frontale della mensa era applicato un paliotto in argento a sbalzo con motivazioni floreali e con una doppia M stilizzata al centro (Macario Martire); questo paliotto si trova ora appeso su una parete della sacrestia. Al posto della vecchia mensa don Celestino Cazzaniga fece relizzare quella nuova da artisti della Val Gardena (Stuflesser di Ortisei).
Battistero
II Battistero è posto all’ingresso immediatamente a sinistra, presenta il pavimento ribassato di un gradino. L’ambiente, che misura circa metri 3,5x3,0 è separato dalla navata da due balaustre a colonnette, dello stesso tipo e materiale di quelle che c’erano all’altare maggiore, con cancellate fisse e cancelletto a doppio battente in ferro battuto.
Al centro si trova la vasca battesimale ottagonale in marmo, con copertura bombata in rame recante simboli attinenti il Battesimo.
La vasca è sostenuta da una colonna in marmo, sempre a sezione ottagonale ornata, alla base, da piastrelle in marmo di colore verde venato. L’ambiente è tutto rivestito da affreschi.
In alto sulla fascia interna dell’arco d’ingresso troviamo dipinti i simboli delle tre virtù teologali: Fides, Spes, Caritas, oltre all’Animi Dolor.
Sulla volta a botte è raffigurato Dio Padre fra due cori di angeli, mentre, entro un arioso paesaggio, sulla parete di fondo San Giovanni battezza Gesù Cristo nel Giordano; subito sopra in una lunetta con vetrata e rappresentato lo Spirito Santo in forma di bianca colomba. Sulle due pareti laterali sono dipinti quattro grandi angeli che presentano ognuno oggetti relativi alla cerimonia del battesimo: due ampolline con l’Olio Santo e sale (simboli di fortezza e sapienza), una camiciola bianca (simbolo di innocenza), una candela (simbolo della Fede), e il libro cerimoniale.
Immediatamente sotto a questi angeli lungo le tre pareti si trova una striscia di marmo verde reca scolpita una scritta a lettere dorate:
EUNTES ERGO DOCETE OMNES GENTES BAPTIZANTES EOS IN NOMINE PATRIS FILII ET SPIRITUS SANCTI
(Andate dunque, e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome, Padre, Figlio e Spirito Santo)
Secondo don Ambrogio Rabolini l’affresco del Battesimo di Gesù sarebbe stato eseguito dal pittore Luigi Tagliaferri nel 1892-93.
Tutti gli altri affreschi sono stati realizzati tra maggio del 1942 e aprile del 1943 da Emilio Orsenigo.
Al centro si trova la vasca battesimale ottagonale in marmo, con copertura bombata in rame recante simboli attinenti il Battesimo.
La vasca è sostenuta da una colonna in marmo, sempre a sezione ottagonale ornata, alla base, da piastrelle in marmo di colore verde venato. L’ambiente è tutto rivestito da affreschi.
In alto sulla fascia interna dell’arco d’ingresso troviamo dipinti i simboli delle tre virtù teologali: Fides, Spes, Caritas, oltre all’Animi Dolor.
Sulla volta a botte è raffigurato Dio Padre fra due cori di angeli, mentre, entro un arioso paesaggio, sulla parete di fondo San Giovanni battezza Gesù Cristo nel Giordano; subito sopra in una lunetta con vetrata e rappresentato lo Spirito Santo in forma di bianca colomba. Sulle due pareti laterali sono dipinti quattro grandi angeli che presentano ognuno oggetti relativi alla cerimonia del battesimo: due ampolline con l’Olio Santo e sale (simboli di fortezza e sapienza), una camiciola bianca (simbolo di innocenza), una candela (simbolo della Fede), e il libro cerimoniale.
Immediatamente sotto a questi angeli lungo le tre pareti si trova una striscia di marmo verde reca scolpita una scritta a lettere dorate:
EUNTES ERGO DOCETE OMNES GENTES BAPTIZANTES EOS IN NOMINE PATRIS FILII ET SPIRITUS SANCTI
(Andate dunque, e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome, Padre, Figlio e Spirito Santo)
Secondo don Ambrogio Rabolini l’affresco del Battesimo di Gesù sarebbe stato eseguito dal pittore Luigi Tagliaferri nel 1892-93.
Tutti gli altri affreschi sono stati realizzati tra maggio del 1942 e aprile del 1943 da Emilio Orsenigo.
Il prezioso organo “Carrera”
Gli organari Carrera sono considerati una pietra miliare nella tradizione organaria lombarda.
Tra il 1861 e il 1870 la ditta “De Simone e Carrera” realizza a San Macario un prezioso e interessante strumento, racchiuso in un’elegante cassa, sovrastata da una cornice ondulata che si dissolve nella linea salda dei pilastri.
L’organo ha una facciata di diciannove canne disposte a cuspide, con bocche allineate ed il labbro superiore a mitria, una tastiera di cinquantotto note, pedaliera diritta di diciassette pedali, consolle a finestra e registri a manetta.
Nel corso degli anni allo strumento sono stati purtroppo sottratti numerosi registri: presenta tuttavia intatti i preziosi caratteri di eccellenza propri della casa organaria dalla quale è stato progettato e realizzato.
Lo strumento ha subìto varie manomissioni anche nelle file di ripieno, ma conserva ancora “nobiltà di accenti”.
L’organo viene accuratamente ripulito e accordato nel 1943 dalla ditta “Mascioni” di Cuvio, la quale aggiunge un elettroventilatore.
Nel 1964 il parroco, don Celestino Cazzaniga, decide l’ampliamento dello spazio riservato alla cantoria sopra l’ingresso principale della chiesa ed attiguo all’organo, per una maggior comodità dei coristi; a settembre la ditta De Rocchi Mario di Casalzuigno procede alla pulitura dello strumento.
Nel 1974, il prof. Carlo Stella, valente organista e studioso degli organi Carrera, in accordo con la ditta “Mascioni”, convince don Cazzaniga ad affidare all’organaro Pietro Gandini di Varese la nuova pulitura, con relative riparazioni, intonazioni ed accordature.
Per collaudare lo strumento e per verificarne la resa dopo i lavori, il Maestro Prof. Giancarlo Parodi, organista nella chiesa di S. Maria Assunta in Gallarate, nel 1975 tiene un memorabile concerto e alla fine definisce l’organo “meraviglioso”.
Il 26 settembre 1981, il Maestro Prof. Carlo Stella, dopo l’esecuzione di un concerto con il nostro organo, non manca di esaltarne le caratteristiche musicali.
Si susseguono altri concerti: il 25 settembre 1982 con il Maestro Guido Donati, il 24 settembre 1983 ancora con il Prof. Stella ed il 27 settembre 1986 con il Maestro Antonio Frigé.
Tra il 1861 e il 1870 la ditta “De Simone e Carrera” realizza a San Macario un prezioso e interessante strumento, racchiuso in un’elegante cassa, sovrastata da una cornice ondulata che si dissolve nella linea salda dei pilastri.
L’organo ha una facciata di diciannove canne disposte a cuspide, con bocche allineate ed il labbro superiore a mitria, una tastiera di cinquantotto note, pedaliera diritta di diciassette pedali, consolle a finestra e registri a manetta.
Nel corso degli anni allo strumento sono stati purtroppo sottratti numerosi registri: presenta tuttavia intatti i preziosi caratteri di eccellenza propri della casa organaria dalla quale è stato progettato e realizzato.
Lo strumento ha subìto varie manomissioni anche nelle file di ripieno, ma conserva ancora “nobiltà di accenti”.
L’organo viene accuratamente ripulito e accordato nel 1943 dalla ditta “Mascioni” di Cuvio, la quale aggiunge un elettroventilatore.
Nel 1964 il parroco, don Celestino Cazzaniga, decide l’ampliamento dello spazio riservato alla cantoria sopra l’ingresso principale della chiesa ed attiguo all’organo, per una maggior comodità dei coristi; a settembre la ditta De Rocchi Mario di Casalzuigno procede alla pulitura dello strumento.
Nel 1974, il prof. Carlo Stella, valente organista e studioso degli organi Carrera, in accordo con la ditta “Mascioni”, convince don Cazzaniga ad affidare all’organaro Pietro Gandini di Varese la nuova pulitura, con relative riparazioni, intonazioni ed accordature.
Per collaudare lo strumento e per verificarne la resa dopo i lavori, il Maestro Prof. Giancarlo Parodi, organista nella chiesa di S. Maria Assunta in Gallarate, nel 1975 tiene un memorabile concerto e alla fine definisce l’organo “meraviglioso”.
Il 26 settembre 1981, il Maestro Prof. Carlo Stella, dopo l’esecuzione di un concerto con il nostro organo, non manca di esaltarne le caratteristiche musicali.
Si susseguono altri concerti: il 25 settembre 1982 con il Maestro Guido Donati, il 24 settembre 1983 ancora con il Prof. Stella ed il 27 settembre 1986 con il Maestro Antonio Frigé.
Campanile e Campane
Nel 1566 il gesuita padre Lionetto Chiavone dice che la chiesa: “...habet campanella supra porta”.
Nel 1596 mons. Luigi Bossi scrive: “La porta guarda ad occidente e sopra di essa c’è una finestrella rotonda alla cui sommità c’è il campanile con due pilastrelli con una campanella la cui fune pende nella chiesa in mezzo alla porta”.
Il 22 agosto 1672 viene fusa una nuova campana di 56 rubbi, in sostituzione di una di 21 rubbi, crepata il 2 febbraio (fonditore Carlo Simone Mario di Novara); comincia a suonare il 7 settembre “con un’altra che è in loco”.
Il 17 ottobre 1676 è posta sul campanile la terza campana di 23 rubbi.
Dagli atti della visita pastorale di Monsignor Corradi del 9/12/1706 si rileva che la chiesa ha una torre campanaria quadrata con 3 campane, esattamente dove si trova ora.
Nel 1822 il parroco don Giovanni Luciani e la Fabbriceria “implorano” il permesso di acquistare un concerto di 5 campane per sostituire le 3 esistenti, inservibili, e il loro castello, rovinoso. La spesa sarebbe completamente coperta dalla popolazione, addirittura le donne si sono dichiarate disposte a corrisponder con gratuite filature! Il contratto viene approvato il 6 Agosto con un solo rilievo, “cioè se la torre possa essere suscettibile di sostenere le 5 campane senza pericolo alcuno di quel fabbricato”; si attendeva perciò al più presto il parere di un esperto perito.
Nel 1823 vengono benedette le 5 nuove campane fuse dalla ditta Bizzozero di Varese.
Nella cella campanaria ora c’è un concerto di 5 campane: a ovest il “campanone”, a nord la “quarta”, a est la “terza”, a sud la “seconda” e in alto la “campanella”.
Nel 1870 viene riparato e ricostruito in parte il campanile distrutto da un fulmine durante uno spaventoso uragano che si scatenò il 14 maggio 1868.
Nel 1913 a Febbraio, essendo parroco don Angelo Melli, vengono calate le campane e rifuse a Varese dalla ditta Angelo Bianchi cambiando il tono dal “mi” al “re”; vengono consacrate da mons. Enrico Montonati, Canonico Ordinario del Duomo di Milano, nella quinta domenica di Quaresima e squillarono al Sabato Santo.
Nel 1949 vengono eseguiti lavori sul campanile e revisionate le campane.
Fino alla metà degli anni ‘50 l’orologio era montato solo sui lati nord e ovest. Successivamente veniva completato sulle altre due facciate sostituendo le cifre romane con quelle arabe, sui due quadranti esistenti.
Nel 1961 don Celestino Cazzaniga fa installare l’impianto elettrico per l’azionamento delle campane, finisce così l’era romantica delle corde.
Il nostro campanile ha forma e particolari originali, completamente diversi da quelli delle chiese parrocchiali intorno.
La cuspide di forma piramidale ottagonale a settori rastremati è ricoperta completamente di lastre di rame; sopra di essa una grossa pigna fa da base di sostegno alla Croce. San Carlo nei suoi dettami dice che la cuspide deve essere “circolare e piramidale” sulla sommità e “potrà porsi l’effige del gallo a sostenere la croce issata”.
Fino agli anni 70/80 esisteva, sul sostegno della croce in ferro del campanile, immediatamente sopra la grande pigna, una figura di gallo con funzione di banderuola per il vento.
Nel 1596 mons. Luigi Bossi scrive: “La porta guarda ad occidente e sopra di essa c’è una finestrella rotonda alla cui sommità c’è il campanile con due pilastrelli con una campanella la cui fune pende nella chiesa in mezzo alla porta”.
Il 22 agosto 1672 viene fusa una nuova campana di 56 rubbi, in sostituzione di una di 21 rubbi, crepata il 2 febbraio (fonditore Carlo Simone Mario di Novara); comincia a suonare il 7 settembre “con un’altra che è in loco”.
Il 17 ottobre 1676 è posta sul campanile la terza campana di 23 rubbi.
Dagli atti della visita pastorale di Monsignor Corradi del 9/12/1706 si rileva che la chiesa ha una torre campanaria quadrata con 3 campane, esattamente dove si trova ora.
Nel 1822 il parroco don Giovanni Luciani e la Fabbriceria “implorano” il permesso di acquistare un concerto di 5 campane per sostituire le 3 esistenti, inservibili, e il loro castello, rovinoso. La spesa sarebbe completamente coperta dalla popolazione, addirittura le donne si sono dichiarate disposte a corrisponder con gratuite filature! Il contratto viene approvato il 6 Agosto con un solo rilievo, “cioè se la torre possa essere suscettibile di sostenere le 5 campane senza pericolo alcuno di quel fabbricato”; si attendeva perciò al più presto il parere di un esperto perito.
Nel 1823 vengono benedette le 5 nuove campane fuse dalla ditta Bizzozero di Varese.
Nella cella campanaria ora c’è un concerto di 5 campane: a ovest il “campanone”, a nord la “quarta”, a est la “terza”, a sud la “seconda” e in alto la “campanella”.
Nel 1870 viene riparato e ricostruito in parte il campanile distrutto da un fulmine durante uno spaventoso uragano che si scatenò il 14 maggio 1868.
Nel 1913 a Febbraio, essendo parroco don Angelo Melli, vengono calate le campane e rifuse a Varese dalla ditta Angelo Bianchi cambiando il tono dal “mi” al “re”; vengono consacrate da mons. Enrico Montonati, Canonico Ordinario del Duomo di Milano, nella quinta domenica di Quaresima e squillarono al Sabato Santo.
Nel 1949 vengono eseguiti lavori sul campanile e revisionate le campane.
Fino alla metà degli anni ‘50 l’orologio era montato solo sui lati nord e ovest. Successivamente veniva completato sulle altre due facciate sostituendo le cifre romane con quelle arabe, sui due quadranti esistenti.
Nel 1961 don Celestino Cazzaniga fa installare l’impianto elettrico per l’azionamento delle campane, finisce così l’era romantica delle corde.
Il nostro campanile ha forma e particolari originali, completamente diversi da quelli delle chiese parrocchiali intorno.
La cuspide di forma piramidale ottagonale a settori rastremati è ricoperta completamente di lastre di rame; sopra di essa una grossa pigna fa da base di sostegno alla Croce. San Carlo nei suoi dettami dice che la cuspide deve essere “circolare e piramidale” sulla sommità e “potrà porsi l’effige del gallo a sostenere la croce issata”.
Fino agli anni 70/80 esisteva, sul sostegno della croce in ferro del campanile, immediatamente sopra la grande pigna, una figura di gallo con funzione di banderuola per il vento.
Campane di San Macario
5 campane in RE3 (Angelus festivo)
5 campane in RE3 (Angelus festivo)